sabato 28 luglio 2012

Zeibekiko, chassapiko, tsifteteli

Testo di Ilias Petropoulos, tratto e tradotto dal libro Rebetika tragoudia, prima edizione del 1968, Atene.



Sulla danza greca in generale
Nel 1834 Nezer(1) ha partecipato ad una festa, dove sono state ballate molte danze greche, anche di Smirne. Il tsamikos è stato il più importante ballo della Grecia. In Grecia, a quel tempo, si ballava il kalamatianòs (cit­tà di Kalamata nel Pelepponneso) e ogni area aveva i suoi balli locali. In Macedonia il sirtòs (strascicato), la gherakina, il pidihtos, il pàrtalo, la gaida, la vlaha, il tranòs ecc.Nel Peloponneso il mèrmigas, il maniàtikos, il tsakònikos. Così anche la Tessaglia, l’Epiro, Creta e le isole hanno le loro danze.

Vari e particolari sono i ritmi delle danze nazionali. Il ballo più facile è il sirtos in 2/4. Ci sono molte varietà di sirtòs e molti altri con ritmo di 2/4 come il menùssis, la tràta di Megara, il piliorìtikos, la svarniàra, la hòra, la sirba e la rumàna (portata dai commercianti dell’Epiro dai loro viaggi in Romania). Il  sirtòs di Rodi è in 7/8 come anche quello di Tzumerka, la gherakìna e il kalamatianòs.
Il tsàmikos è in 3/8 ma ballerini iniziati ballano una versione di tsamikos in 3⁄4, un passo grande che dura 2/4 e uno piccolo in 1⁄4. Con lo stesso tempo, 3⁄4 ballano il fissùni, mentre il mèrmighas si balla in 2/4. In questi balli il ritmo viene dato dal daùli, una sorta di grancassa. Mentre nei rebetika il ritmo viene dato dal baglama e dalla chitarra.
Ci sono balli cantati e balli semplici. Il ritmo 7/8 (si scompone in 3+2+2) è un ritmo usato dagli Slavi e dagli Ungheresi. I balli dimotikà  sono espressioni specifiche degli usi e costumi popolari delle campagne. Nei matrimoni e nelle sagre, canzoni col contenuto specifico, con forme di danza particolari, venivano ballati in gruppo, con corifeo il migliore ballerino del paese. Un rebetis balla per tre minuti perché tanto dura la canzone. I balli dimotikà duravano 5-20 minuti. I rebetika si ballavano in piccoli spazi, con movimenti sottili, perché osservati da vicino. Mentre i balli dimotika, erano balli collettivi. Nei rebetika la danza è un recital individuale.
I dimotikà sono pieni di gioia mentre i  ballo rebetiko assomiglia a un vortice di disperazione. Le facce sono preoccupate, e leggermente aggressive, mentre i dimotikà si ballavano con semplicità e qualche volta con il sorriso.
Un autentico maghas si riconosce anche dalle scarpe. Batte la terra mentre balla. Esistono due danze prin­cipali nei rebetika: il chassapikos e il zeibekiko. Il Tsifteteli (una sorta di “danza del ventre”) è una danza gioiosa e viene ballato principalmente dalle donne.
I rebetes si alzano per entrare nel ballo in un modo molto particolare. Il zeibekikos e il chassapikos sono balli per persone timide e ombrose. I dimotikà sono balli “prestanti” mentre i rebetika hanno sottigliezza e si ballano con i piedi e le mani, con tutto il corpo, con le dita, con piccole inclinazioni, con occhi abbassati e battute dei piedi, Quelli che ballavano i dimotikà portavano grosse divise, pesanti e abbondanti. Mentre i maghes ballano in camicia e pantaloni stretti e senza cintura, il dimotikos era salto e volo. I rebetes mentre ballano guardano la terra, battono con i piedi per terra. Nei balli popolari di gruppo predomina il movimento circolare e palindromico. Il ballo rebetiko è avanti-indietro, battito, giravolta attorno a se stesso, anadiplossi, tor­sione elicoidale, piegamenti. I canti rebetika sono zeibekika e chassapika (metà e metà). I profughi dell’Asia Minore ballavano sirtos, tsifteteli, karsilamas, zeibekiko. A Chiutachia (Kütahya città della Turchia), a carnevale, andavano in giro con violini, clarinetti, outi, chitarre, mandolini e buzukia, di casa in casa ballando zeibekiko. Anche se i dimotikà  sono dei balli di paesi e delle campagne, i compositori di rebetika hanno composto molti balli, sirtos e kalamatianos, dove i versi hanno per tema la città, urbani e non di campagna. I dervisci ottomani, di certi ordini, quando ballavano usavano colpirsi con coltelli o mangiare e deglutire vetri.


 Il Zeibekiko

Sul zeibekiko, troviamo riferimento, nello scrittore ottomano Evlià Celebi(2). Il zeibekiko facilmente si associa al Tsàmikos. Sotto il termine zeibekiko si nasconde una serie di balli simili. I 9/8 del zei­bekiko si analizzano in 2/8+2/8+2/8+3/8, e questo presenta una certa somiglianza con l’analisi rovesciata del kalamatianòs che è 3/8+2/8+2/8. Il zeibekiko turco si balla in gruppo. Famoso è il zeibek-ozunù. Il zei­bekiko cipriota lo ballano le donne. Chi ascolta distingue molte specie di chassapikos e vede il ballo sempre uguale in quanto codificato, mentre lo spettatore, chi vede, distingue molti modi di ballare il zeibekiko, in quanto ballo individuale e sempre differente. 


Per il zeibekiko bastano 4 m2 di pavimento stabile e piano. Il zeibekiko non si balla mai sulla terra nuda, e raramente si balla all’aperto o finchè c’è ancora il sole. Il zeibekiko non ha passi perché è un ballo personale e autodisegnato. Quindi ognuno balla il suo particolare, specifico e personale zeibekiko. I compositori popolari hanno scritto zeibekika veloci e lenti. Ci sono quelli veloci e saltellanti adatti ai gio­vani, che attraversano, camminando velocemente, la pista.
I maghes preferiscono lo iurukiko (il zeibekiko pesante), che ballano con gravità, quasi immobili. Famo­se, dal punto di vista del ballo, sono le canzoni Sarkavliàs, Dikopo maheri e Alibabàs. Famosi per la loro precisione cronometrica, sono i zeibekika di Marcos Vamvakaris. Non è il ritmo che distingue uno zeibekiko dall’altro, ma lo stile. Il zeibekiko si balla secondo il peso e l’età del ballerino.

Siccome il zeibekiko non ha passi codificati, le figure acquistano un valore fondamentale. Il zeibekiko illumina chi balla, lo fa bello come un dio minore. Si balla, appena appena, con i piedi e le mani. Il ballerino, dritto, asciutto, col pantalone basso sulle natiche, fa una serie di meravigliosi “passi” come un albero scrollato. Con facilità si assegnano le figure. Il ballerino si abbassa, fa una giravolta su un piede, finge di cadere, si alza, sempre per finta perde il ritmo e lo ritrova, si spinge verso l’alto, accarezza il pavimento, si inginocchia, batte col palmo i talloni, fa l’ubriaco.
Impossibile che il maghas balli senza voglia o senza aver bevuto. E quando, mentre balla, gli cadono dalle tasche le sue cose, impossibile che si chini per raccoglierle. Mentre balla, ha la sigaretta sulle labbra, ga­rofano all’orecchio e gli occhi nuvolosi. Non dimentichiamo che, fino a qualche decennio fa, si ballava il zeibekiko con i coltelli in mano. Una delle figure più spettacolari del zeibekiko è quando il ballerino balla, tenendo con i denti il tavolo e alzandolo tutto con piatti e bicchieri. I vecchi zeibekika erano taglienti e mar­cati. Ogni ballerino ha le sue figure, inclinazioni, curve, saltelli e giravolte.
Il zeibekiko si balla con le mani e le braccia tese come in preghiera o invocazione.


Il chassapikos (il ballo dei macellai)

Il chassapikos ha passi codificati mentre il zeibekikos no. Ci sono due tipi di chassapikos: il chassapikos e il chassaposervikos. Il secondo si balla due volte più veloce del primo. Alexandros Delmuzos(3), in un articolo del 1911 si riferisce al chassapikos. E’ impossibile stabilire se e quale rapporto c’è tra il chassapikos e il ballo bizantino dei macellai. Il chassapikos e il zeibekikos sono i due balli dei rebetes. Molti anni fa ballavano il chassapikos portando la coppola, leggermente tirata al insù. C’è un chassapikos dell’isola di Sifnos nelle Cicladi. Fanno parte del chassaposervikos i balli allegra, sèrvika e le chores della Rumania.

La raccolta dei balli greci di G. Labelet(4)  inizia col chassapikos. La sua origine forse è di Kostantinopoli. Il zeibekikos è di Smirne mentre il chassaposervikos è di origine slava. Il chassaposervikos con salti vira verso il ballo Cazaska. Il chassapikos ha un ritmo di 2/4. Certi chassapikos molto lenti ricordano le serenate e come serenate sono stati usati dai rebetes. Il chassapikos si balla da due o tre ballerini che con le loro mani si tengono dalle spalle. Non esiste un primo ballerino. I passi sono quattro a terra e uno in aria. I ballerini sono di solito amici stretti, vlamides, dal momento che il ballo richiede sincronismo assoluto e movimenti identici. Se il zeibekikos è il ballo dell’assoluta libertà il chassapikos è il ballo della assoluta precisione. I ballerini che vogliono far mostra della loro bravura ballano due volte più veloci del ritmo della musica e ballano sui tacchi delle scarpe. I balli demotikà in cerchi ampi e con i grandi salti sono balli al aperto; un vlachikos chassapikos, con influenze serbe si balla a Syrrako, in Epiro. E’ un ballo prestante che vuole i ballerini orgogliosi, con il corpo teso, che battono i piedi per terra con forza saltando in avanti e indietro, tenendosi ognuno dalla spalla del altro come nel Tsamikos.


Il modo di camminare è cambiato negli ultimi cento anni. L’uomo di città cammina senza grazia e piegato. Il modo di camminare è molto importante poiché il ballo non è altro che una camminata figurata. Spesso i ballerini del rebetiko esprimono cosi bene il loro mondo e i loro desideri che giustamente possono essere considerati degli artisti sconosciuti. Durante l’Impero Ottomano ballavano il chassapikos i gianitseri e i arnautides (sono i arvanites-albanesi in turco), per questo il chassapikos veniva chiamato anche arnautikos. Si sa che in quei tempi, i arnautides di Salonicco e Istanbul facevano per lo più i macellai.



Il Tsifteteli

Di tutti i balli rebetici solo nel Tsifteteli si sorride. Il zeibekikos è un ballo minaccioso dal momento che inizialmente veniva ballato da guerrieri. Il chassaposervikos ha una sua grazia e ritmo. Il tsifteteli vuole un gioioso movimento del petto e del bacino e dei glutei. Le donne con i seni abbondanti e tremuli, le cosce forti e i sorrisi dolci ballano il tsifteteli con molta più grazia e bellezza degli uomini. Certe volte il tsifteteli si balla sul tavolo pieno di piati e bicchieri (e allora è la apoteosi del corpo femminile) cosi la ballerina non può fare dei passi ma solo piegare e muovere il suo corpo mentre i suoi amici di sotto le battono le mani. Tsifteteli significa “doppia corda”, tsifté: doppia, teli:corda.

 
(1) Christopher Nezer ( 1808 - 1883 ) è stato un ufficiale bavarese col grado di tenente. Nel 1833 arrivò in Grecia con il seguito del primo re di grecia il bavarese Ottone . A metà marzo di quell'anno, fu nominato comandante del Atene. Nezer è stato il primo comandante della città. Il 1 aprile del 1833 ha ricevuto, insieme con il colonnello bavarese Paligkan, la consegna dell’ Acropoli dal  governatore turco di Atene, Osman Efendi. Ha scritto un libro di memorie intitolato I primi anni della costituzione del Regno greco .


(2)Evliya Celebi (1611 – 1684) è stato uno scrittore ottomano, considerato uno degli scrittori emergenti della letteratura turca non tradizionale del XVII secolo. La sua vita si svolge sotto il regno di Murad IV (1623-1640), Ibrahim I (1640-1648) e Mehemed IV (1648-1687). Dopo i trent'anni, nominato aiutante di Malek Ahmed Pascià, che sarebbe diventato gran visir, ebbe modo di viaggiare costantemente sia all'interno dell'impero ottomano che in alcuni paesi stranieri. Scrisse pertanto una relazione in dieci volumi, intitolata Seyahatname (Il libro dei viaggi), considerato ai suoi tempi letteratura d'intrattenimento. Sebbene in alcuni casi sia ricorso all'immaginazione, la sua descrizione di Istanbul, che costituisce il primo tomo della Seyahatname, costituisce una fonte di prim'ordine per la conoscenza della capitale dell'impero ottomano nel XVII secolo.

(3)Kiriakidis Stilpon: 1887- 1964 , storico e laografo folclorista del Università di Thessaloniki. Professore di Studi laografici  e di religione degli antichi greci presso l'Università di Salonicco. Ha lavorato come redattore presso il Dizionario storico della lingua greca (1914) e dal 1918 fino al 1926 è stato Direttore dell 'Archivio Folklore dell'Accademia di Atene. E 'stato direttore della rivista Folklore 1921-1951. Segretario della società greca folcloristica 1914-1926, ha pubblicato numerose opere di folklore e fu un membro fondatore della Società di Studi Makedonikon.

(4)Delmouzos Alexandros, 1880-1956 ,importante pedagogista. Si è schierato, insieme a M.Triantafilidis e D.Glinos per la riforma della lingua greca, e l’adozione della demotiki , il greco neoellenico, e l’abbandono della katharevussa, il greco della koinè ellenistico cristiana, della burocrazia dello stato e dell’Accademia. Ha insegnato pedagogia all’Università di Thessaloniki fino il 1937, quando la dittatura di Metaxàs lo ha licenziato come sovversivo per la religione, la patria e la famiglia.

(5)Lambelet Georgis :1875 - 1945. Distinto compositore, studioso e critico, E 'il primo musicista greco che ha  affrontato la musica greca con coraggio e senza superstizione, ha scritto, La musica popolare greca, 60 canzoni e balli, 1934   Il nazionalismo nel arte e la musica popolare greca, ed.Rodon, Atene,1928.
     Musica popolare greca, Atene, 1933

mercoledì 15 febbraio 2012

Ferri, prigioni, simboli tatuaggi

 Testo di Ilias Petropoulos, tratto e tradotto dal libro Rebetika tragoudia, prima edizione del 1968, Atene.


La parola prigione (filakì) si trova già in un canto del ciclo akritikò (1) e la parola budrumi (Budrum: prigione in turco) nei canti popolari (dimotika). Molte canzoni rebetika trattano il tema della prigione. Il carcere più terribile del XIX secolo era quello di Palamidi, nel Pe­leponneso, ma dopo la liberazione di Salonicco (1912), il più duro diventa il famoso Ghedi-Kulé (Eptapirghio in greco) della capitale macedone. Vamvakaris in una sua canzone, usa il verso “ela mia mera na me dis” (vieni un giorno a vedermi) che ricalca il verso di una canzone popolare del XIX secolo “ela st’Anapli na me dis”. Tutta una serie di rebetika sono scritti apposta per il carcere di Ghedi-kulé (Cala la notte a Ghedi -kulé, Il muro di Ghedi-kulé ho saltato una notte, Il fuggitivo di Ghedi-kulé). Parlano della cella, in vari modi e in molti rebetika. E si parla anche di tribunali, pene, fucilazioni all’alba, catene, chorofilakes (carabinieri), ferri e secondini.

“Desmofilakes anixte simera ti filakì
ke ti mana mu afiste narthi tho ja na me di”

“Secondini aprite oggi il carcere
e lasciate che mia madre venga a trovarmi”

Ai vecchi tempi i soldati chiamavano minaretti le punizioni in isolamento per 30 giorni.
I rebetes chiamano il carcere skolìo (scuola), strugù, sìdera (ferri), ghistani, psirù (pidocchiosa), colleghio, hapsi, stenì (stretta).
Stenì è una piccola area, un cortile (m. 1x3) del carcere di Palamidi, che si trova sull’isolotto di Burzi, di fronte alla città di Nafplio. Descrizioni eccelse del carcere nafpliota ci ha lasciato, lo scrittore Karkavitsas (2), in certi suoi racconti dimenticati o sconosciuti. Set­tantacinque anni fa Karkavitsas ha pubblicato sul giornale Estia dei racconti dove con emozione e in poche parole parla del boia di Palamidi, che abitava nell’isolotto di Burzi, di Miltiadis settore duro del carcere, di Aghio Andrea, altro settore del carcere destinato ai condannati con 5-15 anni di pena, dell’Arapi (l’arabo) cella tremenda, nei sotterranei del carcere, del gioco dei dadi e del buzuki che suonavano i carcerati, del punto a croce che molti facevano, delle loro canzo­ni, dei tatuaggi delle loro braccia, della fame e della tubercolosi che decimava i carcerati.
 I greci hanno conquistato Akronafplia (il castello della città) dai turchi il 3 dicembre 1822. Allora la chiamavano Its-kalé (for­tezza interna). Sono state costruite caserme e prigioni sotto il governo di Capodistria e il regno di Ottone, e ancora sotto quello di Giorgio I. Le stesse caserme e prigioni dove, qualche secolo più tardi, il dittatore Metaxas(3) rinchiudeva i comunisti. Poco tempo fa è stato chiuso il carcere di Acronafplia e di Palamidi, mentre il Ghedi-kulé a Salonicco è ancora funzionante.
Il settore del carcere dove vengono messi hassiklides ed eroinomani, si chiama Presvia (Ambasciata), la cella di isolamento (Arapis, “il nero”, il “negro”, l’arabo) “la nera”. Famosa la cella 15 a Ghedi-kulê dove in mezzo alla cella passava la fogna. I carcerati chiamano i secondini Prassini fili (la tribù verde) a causa del colore verde della divisa e li odiano fino alla morte. Si è soliti dire tra i condannati che il migliore della tribù verde lo devono impiccare. E quando la campana suona il silenzio, i prigionieri sussurrano:
“Filakes grigori­te/ emis kimùmaste ki essis gamithité”
(secondini affrettatevi/noi a dormire e voi fottetevi)

Il carcere è una micrografia di società particolare, con le sue regole, le sue differenze e le sue punizioni. I carcerati chiamano “il mondo fuori”, la società e la loro vita, è alquanto singolare. C’è un certo modo di riposare, di complottare, di lavorare, di fare la spia, di ipocrisia, solidarietà etc. Dentro al carcere la mastur­bazione e l’omosessualità sono come istituzioni. I carcerati sono uomini con un’esperienza immensa. La sera mangiano leggero, così non si appesantiscono, causa mancanza movimento. C’è una strofa caratteristica:
Triti – pempti macaronia
ki o maghas vgazi chronia
ke tin kiriaki me kreas
ke tzampa o kureas”

Maccheroni martedì e giovedì
e il maghas vive a lungo anche lì
la domenica c’è carne
e il barbiere è gratis

Nelle carceri si sentono storie terribili, che ti stupiscono. Il modo in cui i secondini tirano fuori i condannati a morte, per portarli alla fucilazione è tragico. L’espressione “tha fai o kolos su choma” (il tuo culo mangerà terra) significa che ti fucileranno. I carcerati sono dei mitomani: compongono lunghissimi canti rebetika che si trasmettono oralmente. Questi canti hanno una melodia elementare e tutti si assomigliano tra di loro. Quando li cantano usano come strumenti vecchie latte o cucchiai. Un tempo costruivano dei bagla­ma (piccolo buzuki) dalle anfore di terracotta. Adesso nelle prigioni sono vietati tutti gli strumenti, anche le ceramiche.

11. Simboli e tatuaggi

C’è un verso di una canzone popolare “katamessis sto stithos tu kori zografismeni” (in mezzo al petto una ragazza disegnata) che allude evidentemente a un tatuaggio. Prima che il tatuaggio diventasse segno e simbolo degli uomini della malavita, era abitudine in molti paesi che le donne si tatuassero dei simboli (la croce) alla radice del naso o sul dorso delle mani e gli uomini sulle braccia o sul petto. Il tatuaggio piace molto ai marinai e ai carcerati. Disegnano sul loro petto cuori infilzati da coltelli, nomi di donne, la loro amata, amo­re, giuramenti ed altro. Certi che resistono al dolore disegnano sul loro fallo una donna, dove la sua bocca, coincide con l’uretra. I colori usati sono per lo più il rosso e il blu. Nella malavita greca non si usano sim­boli complessi, o segni particolari, o scritture o mezzi di comunicazione come i fischi. Sono degni di nota i disegni e le scritture sui muri delle celle e dei bagni pubblici. Di solito sono proposte oscene intorno al verbo gamò (fottere) e disegni di donne che accolgono un immenso pene tra le gambe, o scene di inculamenti e altre che tutti conoscono.
  

(1) Akritikos kyklos o akritikà tragudia sono canti dimotikà che si riferiscono alle imprese dei akrites, le guardie di frontiera orientale dell'Impero bizantino .. Sono i più antichi canti popolari greci conservati e assomigliano al poema in versi del 12 ° secolo noto come "Epopea di Digenis Akritas. 

(2) Karkavitsas Andreas, scrittore greco ( 1865 - 1922 ). Si tratta di uno dei tre maggiori rappresentanti insieme a Alexandros Papadiamantis e Vizyinos Giorgios del naturalismo nella letteratura moderna greca.
 
 (3) Ioannis Metaxas ( Ithaca 12 aprile 1871 - 29 gennaio 1941 Atene ) è stato un alto ufficiale del esercito greco e poi primo ministro e dittatore (1936-1941). Ha preso parte alle guerre balcaniche e il 1917 fu esiliato in Corsica Nel 1936 , dopo varie circostanze, è stato nominato Primo Ministro della Grecia, e poi ha guidato l'imposizione del regime dittatoriale del 4 agosto, rimasto fino alla sua morte nel 1941.

Dimotikò e laikò tragudi

Testo di Ilias Petropoulos, tratto e tradotto dal libro Rebetika tragoudia, prima edizione del 1968, Atene.
Fin dal I secolo, il termine tragodia significa canto. Non è stato Zampeliòs (Spyridon Zampelios,1815-1881, storico e scrittore greco) ma Stilpon Kiriakidis ( Stilpon Kiriakidis: 1887- 1964 , storico e laografo folclorista) che ha mostrato quando il termine “tragedia” ha cambiato significato. Fino al 1950 il popolo greco ha creato e cantato canzoni d’amore in modo spontaneo. Dopo è stato difficile proseguire con  la composizione di melodie popolari di ogni forma, come nei periodi precedenti . La distinzione tra dimotikò e rebetiko  diventa comprensibile con la spiegazione dei ter­mini dimotikò e laikò. Comunemente accettate sono le seguenti definizioni: dimotikò tragudi (chançon folklorique) è la canzone popolare delle campagne, composta durante il feudalesimo, mentre laikò (chançon populaire) è la nuova canzone del popolo delle città. Precisamente, per la Grecia, dimotikà sono tutte le canzoni del popolo greco composte fino al 1821, mentre laikà sono le più recenti canzoni delle città, le serenate e i rebetika. Il rebetiko deriva, come forma e contenuto, dalle rime e dalle madinades (canti cretesi). La sua sostanza è l’“eros”, l’amore. Un amore vissuto sotto particolari condizioni, che sposta necessariamente il peso verso il contesto sociale. Il dimotikò descrive ambiente, vestiti, paesaggi. Il rebetiko descrive i senti­menti. Se l’asse del dimotikò è: eros – natura - ribelli (kleftes) – ottimismo – morte, quello del rebetiko segue la linea: eros – madre – rimpianto – povertà.  Il dimotikò tragudi, certe volte, aveva dei bersagli (i turchi, i benestanti, i monaci) finalità e missione precisa.
Il rebetiko tragudi è misura di una realtà triste, che si esprime durante la festa, con poche parole. Luogo di riferimento dei dimotikà sono i monti Agrafa. La prima parola o il primo verso di molti rebetika, spesso esprime molta amarezza. Si può dire che poca influenza hanno avuto sui rebetica le fiabe popolari. La scelta tra il Bene o il Male (frequente nei rebetica) forse è un elemento delle favole. Qualcosa di fiabesco c’è nella canzone di Tsitsanis “Htizun ke gremizun kastra” (costruiscono e demoliscono castelli). Comunque sembra che i rebetes prendano gli elementi fiabeschi fuori dalla Grecia, poiché i pochi elementi che troviamo nelle loro canzoni si trovano nei rebetika dell’Anatolia.