rebet-asker
Il mondo del rebetiko
mercoledì 31 agosto 2022
lunedì 15 giugno 2015
domenica 15 marzo 2015
Evievan al ex-birrificio Metzger, 28 marzo, Torino
Lo spettacolo racconta la vita straordinaria di Elias Petropoulos, scrittore, ricercatore, "antropologo urbano", intellettuale anarchico e allergico ad ogni tipo di autorità. Figura eccentrica nel panorama intellettuale europeo del Novecento, Petropoulos è nato nel 1928 ad Atene e fu imprigionato sotto il regime dei colonnelli per il contenuto delle sue pubblicazioni bollato come scandaloso, sovversivo e anti nazionalistico. Stanco delle continue censure, si esiliò a Parigi dove morì nel 2003. Fedele al suo spirito beffardo e alla definizione di se stesso come di "topo di fogna" volle che le sue ceneri fossero disperse in un tombino.
Scrisse 80 libri, tutti dedicati all'ipocosmo, "il sottomondo" dei gay, dei travestiti, della prigione e dei ladri, dei fumatori di hashish e di tutte le culture minoritarie e marginalizzate. Cultore delle liste e delle classificazioni, scrisse anche un dizionario dello slang del mondo omosessuale; un trattato sui metodi e il vocabolario per la preparazione del caffè; uno studio sulle tipologie di balconi, finestre e cortili nell'architettura greca e sul ruolo della zuppa di fagioli nella cultura sociale ellenica. Uno dei suoi lavori più celebri è Rebetika Tragoudia: studio monumentale sulla storia della musica rebetika, la musica del sottoproletariato urbano, da Petropoulos identificata come la cultura identitaria del popolo greco.
Lo spettacolo si presenta come un canovaccio di canzoni rebetike nella cui tessitura si inseriscono brevi stralci recitati tratti dai libri di Petropoulos come, per esempio, il "Manuale del bravo ladro". Sul palco, in una scenografia minimale, arricchita a tratti da video proiezioni e danze rebetike, si alternano sei artisti: musicisti, danzatori, perfomers.
giovedì 25 settembre 2014
Gente da taverna
Pubblichiamo come anticipazione la versione per il blog di un articolo dal prossimo numero di Segn/Ali.
Buon viaggio e buon ascolto.
GENTE DA TAVERNA
«…Se tu penserai, se giudicherai
da buon borghese…
li condannerai a cinquemila anni
più le spese,
ma se capirai, se li cercherai fino in fondo
se non sono gigli son pur sempre figli
vittime di questo mondo.»
Fabrizio De André “La città vecchia”
In tempi di crisi si è propensi ad avere due atteggiamenti differenti. Il primo, che potremmo definire dionisiaco e tragico, ci porta ad introiettare il dolore della vita e a espanderlo per renderlo concretamente un atto di verità costitutivo dell’essere che è in crisi in quanto vivente e che vive per segnare la crisi. Un termine, «crisi», che etimologicamente significa «rottura, frattura». L’ideogramma cinese che designa il concetto di crisi contiene due segni, di natura complementare come è tipico della filosofia taoista: il primo analogo al significato etimologico, il secondo, con il significato di «opportunità». Certamente quest’accezione è alla base del secondo atteggiamento, di tipo apollineo, di fronte alla crisi, il rivendicare l’opportunità per una nuova creazione, per una nuova poesia.
Da secoli distinguiamo i due atteggiamenti, incasellandoli nelle categorie di pessimismo e ottimismo. Ma così come è visibile negli ideogrammi cinesi, pure nella cultura e nell’inestinguibile pensiero umano convivono e si compenetrano i due poli di Dioniso e Apollo. Per saperlo con certezza rivolgetevi ad un greco: scoprirete che, in fondo, entrambi sussistono in ogni istante della vita, fino quasi a toccarsi.
Tale convinzione riverbera per tutta la lettura del libro Rebetiko – vita, musica, danza tra carcere e fumi dell’hashish, Edizioni Nautilus di Torino, un volume che ci racconta la storia di questa scena culturale sorta alla fine dell’ottocento e sviluppatasi fino a fiorire appieno tra gli anni ‘20 e gli anni ‘50 del XX secolo, tra le sponde sconfinanti di Grecia e Turchia, all’interno di un milieu di sottoproletari urbani. Un ipocosmo sociale che ha vissuto i drammi di guerre, di esodi, di dittature, di imprigionamenti, discriminazioni e angherie del potere sulla propria pelle. Un milieu urbano condannato a confrontarsi costantemente con la «crisi».
Questa scena musicale e culturale nasce ed è pertinente alle periferie, ai confini soggetti a contaminazioni, e a luoghi di ristoro e perdizione, approdi e derive del vivere. Il rebetiko è una musica urbana da taverna del porto. Ecco una scena che potremmo vedere: una costruzione bassa con le serrande mezze abbassate, in una piccola via o un vicolo, una taverna quasi impercettibile, celata agli occhi delle autorità prepotenti. Al suo interno pochi tavoli, gente che beve e fuma nella semioscurità. Volti segnati dalla durezza della vita, dallo sguardo ora torvo ora assente. Nell’aria il suono di alcuni cordofoni, due buzukia e unbaglamas, i primi affini a dei mandolini, il secondo del tutto simile a questi, ma in formato assai ridotto, con un suono più penetrante e acuto. Accanto a loro una chitarra, e forse anche uno strumento a percussione. Attorno a certi tavoli potremmo vedere persone abbandonate, in uno stato quasi catatonico, con lo sguardo del tutto assente e sognante; in mezzo a loro, ancora visibile, un narghilè artigianale autocostruito. Sono i fumatori di hashish che si narcotizzano con questa droga per non patire le asprezze del tempo, per evocare e cercare conforto in sogni dolci. Allo stesso modo potremmo vedere qualcuno alzarsi e compiere passi di danza, come rapito da un dáimon, e ugualmente sembrerà che cerchi una catarsi di qualche tipo, sia dionisiaca che apollinea. Le strofe che viaggiano mormoranti sulla musica ci parleranno innanzitutto della vita di questo ipocosmo. Sono storie d’amore, di nostalgia di posti, di esperienze di carcere o di vita quotidiana tra le taverne, il bere, il fumare, e i patire i colpi dell’amara sorte.
Così scopriamo leggendo questo libro, che presenta alcuni testi di Elias Petropulos, che da «antropologo urbano», come si definiva, descrive, racconta e spiega, aprendo il ragionamento, senza mai giudicare, anzi condannando le facili sentenze di un sapere ufficiale, accademico e giuridico, che opprimevano il sottoproletariato urbano, col quale invece si schiera Petropulos. Egli se mai problematizza, crea connessioni, approfondisce e documenta, non accettando mai compromessi, ma rinviando alla vita stessa qualsiasi soluzione. Perché la musica e la cultura del rebetiko sono innanzitutto un’arte di vivere.
Il libro, sintetico ed essenziale, accompagnato da un bel disco con esempi di musica rebetika tradizionale del periodo, è arricchito di ulteriori contributi (note, immagini e appendici) che collezionano i segni e le particolarità del rebetiko, approfondiscono per il lettore che non li conosce gli sfondi storici nei quali apparve questa scena, e presentano i ritratti dei principali autori di rebetiko presenti sul cd. Una musica, il rebetiko, che è andata scomparendo con l’avvento delle mode turistiche omologate, ma che nelle sue tradizioni, soprattutto in questi periodi pieni di crisi, porta ancora forte il messaggio e la carica poetica della sua arte di vivere.
Negli ultimi anni, pullulano omaggi al rebetiko da parte di più artisti, musicisti e scrittori. Segno di questi tempi di crisi. Possiamo sicuramente citare il lavoro di Vinicio Capossela con musicisti greci, con le sue canzoni reinterpretate in chiave rebetika. Ma anche il bel libro a fumetti di David Prudhomme. Oppure le interpretazioni postmoderne di Yannis Kyriakides e Andy Moor(Yannis kyriakides e Andy Moor) che ripropongono questa musica, nell’album “Rebetika”, in un profluvio di nuove contaminazioni che attraversano e toccano i suoni del punk e dell’elettronica.
Quest’arte di vivere la potrei definire come figlia della dimensione portuale dell’esistenza. Voglio ora allargare lo sguardo, errante, nel tentativo di riabbracciare i tempi cosmici con una serie di libere connessioni. Prendetele, se volete, come azzardi poetici…
Il porto è un luogo carico di simboli. Prima dei simboli però stanno le potenze che nel tempo antico erano avvertite come déi, numi che illuminavano la coscienza dell’umanità. Prima della tecnica e dei sofismi, il mondo o cosmo suggerisce la presenza dei numi, e di per sé le voci degli déi ci avvertirebbero di fronte a quei piccoli golfi dalle acque profonde, quasi uterine, protettive e nutritive, che consentono la (psico)nautica. I porti sono luoghi di confronto, di scambio, di narrazione, di visioni estatiche e misteriose. Vi transitano saperi, idee, conoscenze, ma anche traumi, ferite, e cose, beni materiali ed immateriali. Anche qualche mostro che dal mare aperto dell’esistenza è entrato nel nostro cervello per non uscirne mai più (ma forse era già lì ed è solo emerso).
Il mito ci consegna la storia di Melicerte, figlio di Ino, e fratello di Learco. Ino era la figlia di Cadmo e Armonia, ed era sorella di Semele e sposa di Atamante, re tebano. Uccise i figli che il marito aveva avuto da Nefele. Adottò il dio Dioniso, figlio di Zeus e di sua sorella Semele. A causa di ciò, Hera adirata fece impazzire Atamante che cacciando uccise il figlio Learco scambiandolo per un cervo. Ino, disperata, impazzita, buttò Melicerte in un calderone bollente, e poi con il corpo di lui si buttò in mare. Zeus chiese allora l’intervento di Poseidone il quale tramutò Ino e il figlio Melicerte in due divinità, coi nomi di Leucotea e Palemone, protettrici dei naviganti, che soccorrevano durante le tempeste.
Palemone era per i latini il dio Portunus, il cui tempio sorgeva presso il ponte Emilio, ove era lo scalo delle merci. Palemone/Portunus era il dio del porto. Gli era dedicata un festa (i Portunali) che cadeva il 17 agosto, data in cui si raggiungeva l’apice della siccità, e occorreva propiziare la rottura delle acque dal cielo, affinché la vita continuasse a scorrere. Lo stesso giorno, e dunque in coincidenza mitologica, venne eretto un tempio in onore di Giano, dio protettore dei cicli, e degli inizi, che sovraintendeva alle soglie – o confini.
Ino, diventata Leucotea «la dea bianca», era invece per i latini divenuta Mater Matuta, divinità dell’aurora, insieme a Giano, Pater Matutinus. Mater Matuta era la protettrice delle partorienti, al pari di un’altra dea che sovraintendeva al parto, Lucina – divinità ora identificata come epiteto di Hera/Giunone, dea del matrimonio e della famiglia, ora identificata con Artemis/Diana, dea della caccia, dea lunare, vergine, protettrice delle donne, gemella di Apollo.
In questa arborescenza cosmica, in questo succinto e assai parziale tratto della mitologia classica, assistiamo all’avvicinarsi echeggiante del porto con il parto. È questo un arco mitico che si tende tra il senso dionisiaco e quello apollineo. Il porto con la sua simbologia, e altrettanto il parto con le sue potenze, mi richiamano un’altra e ben più forte potenza, Anankē, la Necessità. Poiché entrambi i luoghi, questi due palcoscenici della vita, con i lorobacini, non prescindono da una costrizione che è proprio il segno distintivo della Necessità, il cui simbolo è il giogo.
La grecità, millenni prima del rebetiko, ci ha però consegnato un’altra testimonianza: il tentativo di subordinare la necessità alla bellezza. Un’altra potenza archetipica è chiamata in causa in questa cosmica partita: Athena, dea del sapere. È Athena, nella sua doppiezza verginale di dea che fa fiorire la conoscenza, e di dea guerriera, che riconduce il giogo della Necessità al pensiero, sovraintendendo alla Norma in forma poetica, grazie ad una potenza a lei legata, la Persuasione.
Allora mi ritornano in mente, opposte e antagoniste alle asprezze della guerra, della carestia, delle angherie del potere, la parole di una filosofa, Hannah Arendt, che si opponeva tanto alla violenza quanto alla confusione tra autorità ed autoritarismo (che se mai segna la sconfitta dell’autorità), e con pervicaci tentativi di persuasione ammoniva che «la democrazia va partorita ogni giorno».
Ho errato con lo sguardo tra gli astri del cosmo, ma sono tornato alla fine all’ipocosmo del sottoproletariato urbano del rebetiko, poiché è in sperduti naviganti come quelli delle taverne greche di qualche decennio fa, o come negli altrettanto sperduti naviganti delle periferie mondiali, materiali e mentali di oggi, che si confrontano costantemente con la crisi, che si può venire a contatto con un’arte di vivere che è una visione decisiva e poetica dal fortissimo valore politico e universale.
Enea Solinas
Bibliografia e discografia apertamente citata:
Elias Petropulos – REBETIKO – Vita, musica danza tra carcere e fumi dell’hashish, Nautilus Edizioni, 2013. – Libro + cd.
Roberto Calasso – Le nozze di Cadmo e Armonia, Adelphi, 1988
James Hillmann – La vana fuga dagli déi, Adelphi, 1991
David Prudhomme – Rebetiko, Coconino Press, 2010
Vinicio Capossela – Rebetiko Gymnastas, Warner Music, 2012
Yannis Kyriakides&Andy Moor – Rebetika – Unsounds, 2010
lunedì 24 marzo 2014
Nikos Mathessis, il Trellakias, (il pazzariello), (1907- 1975)
Sono cresciuto a Pireo. Vivevamo ad Agios Nikolaos, vicino alla
Dogana. Mio padre era uno dei più grandi commercianti di pesce al mercato di
Pireo. Aveva un banco di pesce al mercato centrale di Pireo. A me piacevano le
lettere e la pittura, e da ragazzino
disegnavo, dipingevo e scrivevo versi. Ma mio padre non mi ha lasciato finire il liceo. Mi ha fatto ritirare e mi ha
preso con sé al mercato dicendo: "E qua il pane, gli artisti muoiono di
fame!"
All'età di 15 anni, nei primi anni '20, mi sono trovato al
mercato del pesce, una Babilonia di criminali, dove la lama a doppio taglio
usciva per un nonnulla. Trovavi di
tutto, macellai, verdurieri, pescatori,
barcaioli, cocchieri, chasisopotes e bulli. Ero in un inferno, nel fango del
mercato.
Allora il Pireo era una città molto feroce. Gli omicidi a
Karvuniarika e, a Troumba e Tselepi erano all'ordine del giorno. Per quanto
riguarda i tekè era pieno, sulla costa di Pireo, a Panagitsa, a Aghios Nilos, a
Aghios Nicolas, a Ghiftika, a Troumba e
Hatzikyriakio. E più andavi in là , verso Aghios Dionisios, li fumavano per
strada. Giocavano a dadi sulla strada ,
passava il poliziotto e nessuno li dava importanza, piuttosto tiravano fuori la doppia lama cosi poteva
vederla. A Pireo c’era anche la polizia a cavallo. Bordelli c’erano solo nel
quartiere Vourla, che dopo sarebbero diventati prigioni. Le donne che esercitavano a Vourla non
potevano uscire, era severamente proibito, e i militari tenevano sorvegliata
l’area dei bordelli. Ma gli amanti-magnaccia
avevano i loro trucchi e a mezzanotte saltavano dentro eludendo le
guardie . Ma néssuna delle donne ha fatto mai la spia. Ogni tanto accadeva
qualche omicidio, ovviamente a causa delle donne. La stessa donna che a causa sua qualcuno aveva commesso
reati doveva mantenerlo finchè non
usciva di prigione. Non poteva fare altrimenti perché l’avrebbero uccisa gli
amici del amante-magnaccia. Ma quando l’amante criminale usciva dal carcere, il
suo primo lavoro era quello di sposarla, cosi imponeva la regola. E per il skylomaghas
la legge non scritta era dura!
Negli anni °30 Drapetsona era un ghetto, non come oggi che è
diventata come Kolonàki! Era una delle piazze più importanti dei maghes.
Frequentavano i tekedes e i bordelli di Vourla gente di ogni risma. A Vourla
c’erano più di 500 prostitute e tutto il mondo che gira attorno a loro. Avevo
conosciuto una puttana di Vourla, viveva a Karvuniàrika, si chiamava Lucy. Si è
suicidata nel '33, aveva sballato e poi si è accoltellata da sola. Questa era
Drapetsòna, baracche, tekedes,
traffico di droga in piena espansione, bordelli, ruffiani, criminali,
contrabbandieri, maghes, prepotenti, truffatori, eroinomani, haschissomani,
gente dal coltello facile, skilòmaghes, avanzi di galera. La polizia girava
giorno e notte e ogni tanto faceva delle retate. Quelli anni erano di fuoco, si
uccideva per due soldi, per una donna o per capriccio. Fin da piccolo, ero
vivace, e ho fatto un nome nella piazza di Pireo. Era l'epoca dei koutsavàkides
e dei daìthes. C’erano i tekès nascosti, dalla porta chiusa.
Per entrare dovevi suonare la porta da iniziato e il teketzìs ti vedeva da
qualche buco nella porta. C’erano le bettole che avevano la licenza da Kafenìo.
In ogni bettola e kafenìo di quartiere c’erano appesi 3-4 buzùkia e baglamàdes
per la marmaglia che lo frequentava. In questi kafenìa non smettevano di
suonare, giorno e notte, il buzuki vari màghes, kopromagkes, skylomagkes, e
màghes veri che avevano appreso a suonare nella vera scuola, quella del
carcere. Sentivi sempre belle melodie del buzuki e canzoni del carcere e del
tekè. Si mischiavano il canto del buzuki con il profumo del hashish dai
narghilè e dai spinelli. Ovviamente per entrare dovevi aver la faccia, essere
uomo della piazza, con una carriera criminale.
In questo mondo sono entrato anch’io e ho cercato di diventare
il primo màghas. Volevo essere il primo palikàri e ho iniziato le sfide e a
rispondere alle provocazioni con spavalderia. Tutti i kutsavàkides e i daìthes
mi rispettavano. Ero diventato famoso, mi conoscevano anche le pietre, non ero
un machalòmaghas, un maghas del quartiere. Andavo nelle altre piazze, dove
c’erano altri màghes e gli provocavo. Obbedivo solo alla legge del màghas.
Perché noi avevamo le nostre leggi, i nostri valori. Non tenevamo conto ne di
Dio ne dei poliziotti, e non mi piacciono per niente gli sbirri. La cosa che ci
piaceva, la facevamo senza dar conto a nessuno. Ma non frequentavo i bordelli,
né i magnaccia, neanche gente di bassa lega. Facevo compagnia con i migliori
màghes del epoca e con kutsavakia che non accettavano neanche il sorriso. Erano
màghes famosi, duri, da tutti temuti, uomini che prima di rivolgerli la parola
facevi le prove per un mese. Se qualcuno intendeva sfidarli passava prima dalla
chiesa per l’ultima comunione.
Il cane, un bulldog di solito, era necessario ai daìthes, e
accompagnava il suo padrone ovunque. Ogni volta che andavo al tekè prendevo
anche il cane insieme. Narghilè io, narghilè anche il cane. Alla fine era
diventato il primo cane hassiklìs del Pireo! Una volta arrivati al tekè, prima
che io potessi entrare, il cane era già dentro e iniziava ad abbaiare ! Voleva
il narghilé! Fumava e sballava. Era un cane màghas e hassiklìs.
Fin da piccolo mi piaceva dipingere e scrivere versi. Nel 1930
ho iniziato a scrivere canzoni per le registrazioni. La prima canzone che ho
registrato era Mes’tu Nikìta ton tekè,
Nel tekè di Nikìtas,:
Charmànis ime ap’to proì,
pào ghia na fumàro/
Mes’stu Nikìta ton tekè, pu echi fino mavro
In carenza sono dal
mattino, vado a fumare
Nel tekè di Nikìtas che
ha il nero raffinato
Allora quando uscivano questi dischi, la polizia ci
attenzionava, per causa del hashish, narghilè e cose cosi. Una volta, ero
andato a Drapetsona e dove c'è il ponte
di ferro a Aghios Dionìssios, si è avvicinato un poliziotto e mi ha detto: “Non
basta che vi lasciamo fare ciò che volete, ma lo mettete anche nei grammofoni e
ci provocate” . Una parola tira l’altra, mi sono incazzato di brutto. Gliene ho
dette di tutti i colori. E’venuto giù il finimondo, l’ho insultato pesantemente:
“Ti metterò il narghilè nel culo, bruto stronzo, te e la tua corona”.
Nel 1938 ho fatto l'omicidio. C'era un màghas che era il
terrore di Freatida, a Pireo. Era feroce e sanguinario, carico di sfide e
vecchie condanne, con molti anni di carcere alle spalle. Era un skilòmaghas che
uccideva per un non nulla. Ho avuto da dire con lui in un tekè, e siccome
c’erano anche altri màghes presenti, questo li ha dato fastidio e mi aspettava
al varco. Così arrivò un pomeriggio, al mercato, nel mio banco insieme a un suo
cugino soldato, noto criminale. Mi attaccarono al improvviso, senza dirmi una
parola. Il cugino mi ha tenuto la mano destra e lui, con un falcetto mi ha
colpito al collo e alla spalla sinistra. Perdevo sangue e caddi in ginocchio
dal dolore. Allora prima che mi finivano ho estratto una pistola a sei colpi,
marca Uniate, gli ho sparato quattro volte! Lo colpirono due proiettili e l’ho
ucciso. Mi hanno trasferito all’ospedale in afasia, mentre suo cugino è stato
arrestato. Una volta guarito, sono rimasto sotto accusa per un po’ ma poi usci
su cauzione e assolto per legittima difesa. E poi, il Venerdì Santo, sono
andato alla sua tomba, ho sballato e ho cagato sopra! Perché l’avevamo detto
che chi dei due uscirà vivo andrà a cagare sulla tomba del altro. E così ho
fatto.
Lentamente il Pireo è cambiato. E’ arrivato il progresso. Si è
organizzato il porto. Aboliti i barcaioli, andati i vetturini. Sono sparite le
chiatte che erano un asilo per i ladri. I bordelli sono stati chiusi. I tekèdes
sono stati spenti. Gli amanèdes non si sentono più nelle strade illuminate e
gli ubriachi non esistono. Le baracche nei sinecismi sono sparite e al loro
posto sono stati costruiti palazzi di due e tre piani. I pollai e le bettole di
Drapetsona sono stati demolite e sono spuntati palazzi di otto piani. La
Drapetsona è diventata il Kolonaki di Pireo. Ognuno ora ha l’auto e invece di
ouzo o vino beve coca - cola... Ma i màghes e i rebètes non spariranno finchè
il Pireo rimarrà un porto. Ci sono, si mescolano insieme a noi, si siedono
accanto a noi, ma in un'altra forma. Non aspettate di vederli con la coppola e
la cintura, a parlare màghika e kutsavàkika. Vive quindi il rebetis, non muore
mai, perché ha sette vite. Perché non c’è giardino senza spine, non c’è campo
senza erbaccia . Manca il Marzo dalla quaresima? Così non mancherà il rebet-asker.
Qualche giorno fa è morta mia moglie. Le ho scritto una canzone
un paio di giorni prima di morire:
Me dìchos màtia ke milià/ to Golgothà anevènis
Ghiatì kyrà mu viàzesse/ke den me perimènis
Senza occhi e parola sali il tuo calvario
Perché hai fretta mia signora e non aspetti anche me?
Doveva aspettare, ma lei aveva fretta. Non so perché. Tanto tra
un po’ ci andrò anch’io. E’il cancro. Da un anno si è insediato nella mia gola!
Sua Maestà il cancro! Lo nutro con le sigarette e l’alcol, perché non voglio
vivere. L’altro ieri che mi ha preso la prima crisi mi hanno portato in
ospedale e mi volevano addormentare, per aprirmi la gola. Guarda cosa volevano
fare! Volevano addormentarmi! Ho detto loro no, no cento volte! Voglio essere
sveglio per godere le ultime pene della mia vita. E così è successo, le ho
godute!
L’ho scappata fino adesso ma tra un po’ andrò correndo al Ade.
L'altra notte ho sognato di nuovo mia moglie che mi diceva: "Vieni!".
Sono pronto per andar di là. E li dove andrò ci sarà tutta la vecchia guardia:
Tsitsànis, Papaioànnou, Stràtos, Bàtis, Anèstos, Markos, Hatzichrìstos,
Keromytis, Rosa e Bellou. La compagnia è
pronta nel Ade e mi aspetta.
martedì 4 marzo 2014
Petropoulos e Sex drugs & rebetiko a El Paso
Venerdì 7 Marzo / SEX DRUGS + REBETICO
al Condorito, Via stazione 64 – Margarita (Cuneo)
Elias Petropulos “Rebetiko”: “Vita, musica, danza tra carcere e fumi dell’hashish”
insieme alla compagnia
Sex drugs & Rebetico direttamente da Toulouse
www.condorito.it
Sabato 8 marzo, tappa della combinazione sexdrugsrebetiko/Petropoulos
al Circolo Culturale Barbarià., alla località Mentoulles (Fenestrelle) in Val Chisone e
Domenica 9 marzo, alla libreria Calusca-kox18,
a Milano in via Conchetta 18
martedì 21 gennaio 2014
Rebetiko di Petropoulos, con gli Evievan al Kirkuk kaffè
A Torino, domenica 9febbraio2014
con la straordinaria partecipazione degli EVIEVAN
compagnia musicale che traccia le strade del rebetiko in italia
parleremo di rebetiko e di petropulos
sentiremo lo zeibekiko bevendo e mangiando
al kirkuk kaffè, incrociando strade levantinorientali
strade musicali ma sopratutto
strade dell'arte di vivere.
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