mercoledì 15 febbraio 2012

Ferri, prigioni, simboli tatuaggi

 Testo di Ilias Petropoulos, tratto e tradotto dal libro Rebetika tragoudia, prima edizione del 1968, Atene.


La parola prigione (filakì) si trova già in un canto del ciclo akritikò (1) e la parola budrumi (Budrum: prigione in turco) nei canti popolari (dimotika). Molte canzoni rebetika trattano il tema della prigione. Il carcere più terribile del XIX secolo era quello di Palamidi, nel Pe­leponneso, ma dopo la liberazione di Salonicco (1912), il più duro diventa il famoso Ghedi-Kulé (Eptapirghio in greco) della capitale macedone. Vamvakaris in una sua canzone, usa il verso “ela mia mera na me dis” (vieni un giorno a vedermi) che ricalca il verso di una canzone popolare del XIX secolo “ela st’Anapli na me dis”. Tutta una serie di rebetika sono scritti apposta per il carcere di Ghedi-kulé (Cala la notte a Ghedi -kulé, Il muro di Ghedi-kulé ho saltato una notte, Il fuggitivo di Ghedi-kulé). Parlano della cella, in vari modi e in molti rebetika. E si parla anche di tribunali, pene, fucilazioni all’alba, catene, chorofilakes (carabinieri), ferri e secondini.

“Desmofilakes anixte simera ti filakì
ke ti mana mu afiste narthi tho ja na me di”

“Secondini aprite oggi il carcere
e lasciate che mia madre venga a trovarmi”

Ai vecchi tempi i soldati chiamavano minaretti le punizioni in isolamento per 30 giorni.
I rebetes chiamano il carcere skolìo (scuola), strugù, sìdera (ferri), ghistani, psirù (pidocchiosa), colleghio, hapsi, stenì (stretta).
Stenì è una piccola area, un cortile (m. 1x3) del carcere di Palamidi, che si trova sull’isolotto di Burzi, di fronte alla città di Nafplio. Descrizioni eccelse del carcere nafpliota ci ha lasciato, lo scrittore Karkavitsas (2), in certi suoi racconti dimenticati o sconosciuti. Set­tantacinque anni fa Karkavitsas ha pubblicato sul giornale Estia dei racconti dove con emozione e in poche parole parla del boia di Palamidi, che abitava nell’isolotto di Burzi, di Miltiadis settore duro del carcere, di Aghio Andrea, altro settore del carcere destinato ai condannati con 5-15 anni di pena, dell’Arapi (l’arabo) cella tremenda, nei sotterranei del carcere, del gioco dei dadi e del buzuki che suonavano i carcerati, del punto a croce che molti facevano, delle loro canzo­ni, dei tatuaggi delle loro braccia, della fame e della tubercolosi che decimava i carcerati.
 I greci hanno conquistato Akronafplia (il castello della città) dai turchi il 3 dicembre 1822. Allora la chiamavano Its-kalé (for­tezza interna). Sono state costruite caserme e prigioni sotto il governo di Capodistria e il regno di Ottone, e ancora sotto quello di Giorgio I. Le stesse caserme e prigioni dove, qualche secolo più tardi, il dittatore Metaxas(3) rinchiudeva i comunisti. Poco tempo fa è stato chiuso il carcere di Acronafplia e di Palamidi, mentre il Ghedi-kulé a Salonicco è ancora funzionante.
Il settore del carcere dove vengono messi hassiklides ed eroinomani, si chiama Presvia (Ambasciata), la cella di isolamento (Arapis, “il nero”, il “negro”, l’arabo) “la nera”. Famosa la cella 15 a Ghedi-kulê dove in mezzo alla cella passava la fogna. I carcerati chiamano i secondini Prassini fili (la tribù verde) a causa del colore verde della divisa e li odiano fino alla morte. Si è soliti dire tra i condannati che il migliore della tribù verde lo devono impiccare. E quando la campana suona il silenzio, i prigionieri sussurrano:
“Filakes grigori­te/ emis kimùmaste ki essis gamithité”
(secondini affrettatevi/noi a dormire e voi fottetevi)

Il carcere è una micrografia di società particolare, con le sue regole, le sue differenze e le sue punizioni. I carcerati chiamano “il mondo fuori”, la società e la loro vita, è alquanto singolare. C’è un certo modo di riposare, di complottare, di lavorare, di fare la spia, di ipocrisia, solidarietà etc. Dentro al carcere la mastur­bazione e l’omosessualità sono come istituzioni. I carcerati sono uomini con un’esperienza immensa. La sera mangiano leggero, così non si appesantiscono, causa mancanza movimento. C’è una strofa caratteristica:
Triti – pempti macaronia
ki o maghas vgazi chronia
ke tin kiriaki me kreas
ke tzampa o kureas”

Maccheroni martedì e giovedì
e il maghas vive a lungo anche lì
la domenica c’è carne
e il barbiere è gratis

Nelle carceri si sentono storie terribili, che ti stupiscono. Il modo in cui i secondini tirano fuori i condannati a morte, per portarli alla fucilazione è tragico. L’espressione “tha fai o kolos su choma” (il tuo culo mangerà terra) significa che ti fucileranno. I carcerati sono dei mitomani: compongono lunghissimi canti rebetika che si trasmettono oralmente. Questi canti hanno una melodia elementare e tutti si assomigliano tra di loro. Quando li cantano usano come strumenti vecchie latte o cucchiai. Un tempo costruivano dei bagla­ma (piccolo buzuki) dalle anfore di terracotta. Adesso nelle prigioni sono vietati tutti gli strumenti, anche le ceramiche.

11. Simboli e tatuaggi

C’è un verso di una canzone popolare “katamessis sto stithos tu kori zografismeni” (in mezzo al petto una ragazza disegnata) che allude evidentemente a un tatuaggio. Prima che il tatuaggio diventasse segno e simbolo degli uomini della malavita, era abitudine in molti paesi che le donne si tatuassero dei simboli (la croce) alla radice del naso o sul dorso delle mani e gli uomini sulle braccia o sul petto. Il tatuaggio piace molto ai marinai e ai carcerati. Disegnano sul loro petto cuori infilzati da coltelli, nomi di donne, la loro amata, amo­re, giuramenti ed altro. Certi che resistono al dolore disegnano sul loro fallo una donna, dove la sua bocca, coincide con l’uretra. I colori usati sono per lo più il rosso e il blu. Nella malavita greca non si usano sim­boli complessi, o segni particolari, o scritture o mezzi di comunicazione come i fischi. Sono degni di nota i disegni e le scritture sui muri delle celle e dei bagni pubblici. Di solito sono proposte oscene intorno al verbo gamò (fottere) e disegni di donne che accolgono un immenso pene tra le gambe, o scene di inculamenti e altre che tutti conoscono.
  

(1) Akritikos kyklos o akritikà tragudia sono canti dimotikà che si riferiscono alle imprese dei akrites, le guardie di frontiera orientale dell'Impero bizantino .. Sono i più antichi canti popolari greci conservati e assomigliano al poema in versi del 12 ° secolo noto come "Epopea di Digenis Akritas. 

(2) Karkavitsas Andreas, scrittore greco ( 1865 - 1922 ). Si tratta di uno dei tre maggiori rappresentanti insieme a Alexandros Papadiamantis e Vizyinos Giorgios del naturalismo nella letteratura moderna greca.
 
 (3) Ioannis Metaxas ( Ithaca 12 aprile 1871 - 29 gennaio 1941 Atene ) è stato un alto ufficiale del esercito greco e poi primo ministro e dittatore (1936-1941). Ha preso parte alle guerre balcaniche e il 1917 fu esiliato in Corsica Nel 1936 , dopo varie circostanze, è stato nominato Primo Ministro della Grecia, e poi ha guidato l'imposizione del regime dittatoriale del 4 agosto, rimasto fino alla sua morte nel 1941.

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