domenica 3 novembre 2013

glossario rebetiko

GLOSSARIO afioni: il papavero da oppio,per estensione, una sostanza narcotica, l'oppio, figurato, una cosa che snerva o che rende fanatica

akritikò: akritikà tragudia: canti demotici che narrano le gesta degli Akrites, le guardie di frontiera orientale dell'Impero bizantino . Gli akritikà tragudia sono i più antichi canti popolari greci conservati, spicca tra molti esempi la collezione
 in versi del XII sec, nota come "Epopea di Digenis Akritas" . 

akroama: il concerto, lo spettacolo che si fruisce soprattutto con l’udito, mentre lo spettacolo che usa soprattutto la vista è theama.


alani, pl. alania, anche alaniaris: il girovago, vagabondo, colui che vive senza pensare a niente, che vive sui desideri del momento, che passa da una situazione all’altra, che non riesce a rimanere in un lavoro o in una relazione.

aman-aman: esclamazione di implorazione di origine turca, pietà, ahimé, misericordia

amanès, pl. amanédes : improvisato assolo vocale tipico della scuola di Smirne;
 un particolare tipo di canzone, monodica, lunga e passionale  caratterizzata dalla ripetizione dell’ esclamazione turca Aman che significa misericordia, compassione.
Mentre l’amanès sembra che abbia un carattere musicale turco, molti validi orientalisti e critici musicali sostengono che, anche se coltivato dai Turchi e altri popoli d'Oriente, risente  l'autorità e l'influenza della musica bizantina e in particolare il suono chiamato "pesante", “greve”. Musicalmente, gli amanedes hanno il proprio stile con la voce alta, greve e profonda  che stira e prolunga in intensità e varietà i suoni delle parole, fornendo così passionalità  orientale alla canzone. All'inizio dell'amanès le parole sono divisi in suoni e sillabe , sviluppati in intensità e lunghezza e varietà di pronuncia in modo che un distico necessita di cinque minuti per essere cantato, per poi iniziare di nuovo, ripetendo lo stesso verso a un ritmo più veloce, accompagnato da altri cantanti in modo che  le parole del verso possano essere  compresi.
In Grecia si diffondono dal  1877, quando musicisti e parolieri iniziano a scrivere amanedes. La prima registrazione di amanedes avenne nel 1906 ad Atene, e circa lo stesso anno anche ad Istanbul .Va osservato che il 7 novembre 1934 il regime kemalista in Turchia ha vietato questo tipo di canzone in tutto il territorio turco per il fatto che si intreccia con i Greci e l'Impero Ottomano. Tre anni dopo il 1937 anche  il regime di Metaxàs, con una specifica disposizione vieta questo tipo di canzoni in tutto il territorio greco considerato come una sorta di pura musica turca! Cosi gli amanedes sono stati proibiti in entrambi i paesi.

arapiko: dai paesi arabi, di stile orientale, arapis: nero, arapien: di stile orientale

armatoloi e kleftes : Durante la dominazione ottomana della Grecia (1453-1821) i paesi e le città erano per lo più sottomessi mentre le montagne offrivano scomodi ma sicuri rifugi a quanti si opponevano al dominio straniero. Questi erano i kleftes ( in greco lett. "ladri" ), gruppi di greci resistenti datisi alla macchia, i quali ovviamente non avevano altra scelta se non una tattica di guerriglia e in molti casi di vera e propria razzia, ma che costituirono un disturbo costante per i dominatori. Per contrastare queste bande, furono costituite milizie composte anch'esse da greci, chiamati armatoloi, termine di chiara derivazione italiana da arma, armati. Si trattava spesso di ex capi kleftes, ai quali l'Impero Ottomano assegnava territori e forniva uomini e mezzi per contrastare i loro compagni di un tempo. In effetti, però, con il tempo questi due gruppi opposti finirono per collaborare, ed anzi insieme costituirono il nucleo dell'esercito rivoluzionario che nel 1821 diede inizio alla lunga e sanguinosa lotta di liberazione, terminata solo con il trattato di Adrianopoli (1829) e i protocolli di Londraco.

arvanites: popolazione di origine albanese i cui membri parlano Arvanitika , un ramo dialettale della lingua albanese . Provengono da popolazioni albanofone che si sono spostate soprattutto nella Grecia del sud e nella Grecia centrale, dal sud dell'Albania durante il Medioevo , in particolare tra i XIII e XVI sec a causa di conflitti sociopolitici del tempo. Gli arvanites hanno svolto un ruolo importante durante la Rivoluzione del 1821.

asikis: uomo con portamento fiero. Come aggettivo esprime uno dei migliori apprezzamenti e complimenti per un maghas. Dal turco asik:bardo popolare delle campagne che gira da paese a paese cantando ballate popolari e suonando il saz, "saz" è termine persiano e include tutti i tipi di liuto a collo lungo. 

ataktos: disordinato

an lahi: se capita

baglamas, pl. baglamades, baglamadaki pl. baglamadakia: strumento musicale simile al buzuki (ma di dimensioni più ridotte), utilizzato nella musica popolare greca. Di solito ha tre corde doppie. Il suono del baglama è acuto, perché ogni corda è accordata di un'ottava più alta di quella del buzuki. E’ uno strumento antico e piccolo, facilmente nascondibile soprattutto nelle carceri. Il baglama o è scavato o è fatto a doghe . La sua cassa può essere scavata da un unico pezzo di legno o da fogli di legno incollati tra loro in uno stampo. Il coperchio della cassa è sempre speciale perché il legno deve essere morbido. Diversi tipi di legno hanno la manica e la tastiera . La lunghezza del baglama è di circa 32 cm. Questo non significa che non ci sono baglama di diverse lunghezze . Il miglior legno per scavare la cassa è considerato il legno del gelso, mentre per il coperchio, il legno di abete. Inoltre nelle carceri si costruiva la cassa del baglama con mezza zucca scavata.

brussalidiko: hashish prodotto nella città turca di Brussa.

bucaro: irrompo, mi precipito

budrumi: prigione, dal turco Bodrum, prigione nei sotterranei di un edificio, per estensione, scuro e angusto spazio.

buluki : folla, dal turco Bölük, contingente di militari, non necessariamente irregolari. La parola in greco, ha assunto molti significati. Il denominatore comune è il concetto di folla, e in particolare folla disordinata. Ma ci sono differenze nell'uso della parola, spesso sottili. Così buluki può essere: Un gruppo di uomini armati irregolari - ladri e guerriglieri, ribelli, ecc significato molto vicino a quello turco. Una gilda, spesso, ma non necessariamente, in viaggio - ad esempio, gruppi di muratori in cerca di lavoro di villaggio in villaggio organizzati in bulukia guidati dal boulouktsis, una compagnia teatrale itinerante, letteralmente, un branco di animali, una folla indisciplinata, una folla rumorosa, una squadra che non ha un sistema di gioco o di governo.

busuksis, pl. busuksides: il suonatore di buzuki

buzuki, pl. buzukia, buzukaki pl.buzukakia: Il buzuki è uno strumento appartenente alla famiglia dei liuti a manico lungo, di lunghezza da 90 a 100 cm. Ha tre o quattro doppie (o anche singole) corde. Originariamente il buzuki aveva tre paia di corde di metallo in tonalità La-Re-Re, più tardi si aggiunge una  quarta coppia e la sintonizzazione divenne Do-Fa-La-Re. Una volta, fino agli anni trenta, la tonalità ( duzen ) cambiava a seconda della strada musicale ( makam ) della melodia.   Alcuni studiosi ritengono che deriva dalla tradizione musicale turca. Ma la maggior parte accetta l'origine turca solo del nome, büzük - anche se è probabile che la parola deriva dal persiano  tambur-e Bozorg  che significa “grande taburàs”, “grande liuto” convertendo-rg in "k" in greco e turco - e considerano invece la forma dello strumento una sorta di trasformazione dell’ antica Pandoura . Secondo questa visione, il buzuki, ha  la forma, le dimensioni e la disposizione delle corde, quasi le stesse da migliaia di anni. Passata dagli antichi Greci ai Bizantini,e poi ai Turchi e rifiorito negli ultimi 150 anni. Le variazioni di questo antico strumento sono state  parecchie negli anni della sua vita e aveva i nomi di Pandoura o pandourida, trichordon, , thamburà, tampùrin,  buzuki e molti altri con cui è stato chiamato, e altri di forme piccoli o più grandi della stessa famiglia di taburàs. In realtà erano solo piccole modifiche e varianti dello stesso strumento di base, il taburàs, della famiglia del liuto. Il musicologo e critico Febo Anogianakis descrive il percorso del taburàs e della storia del suo nome fino ad oggi. Nella storia moderna della musica greca, il buzuki, mentre era escluso dalle compagnie del dimotikò tragudi (clarinetto, violino, liuto, salterio) e del nissiotiko (delle isole, violino, liuto o violino-lira) con l’avvento del rebetiko, nella seconda metà del XIX sec. il buzuki ha iniziato a diffondersi per arrivare negli anni 1920-1935, ad essere lo strumento principe, con la costituzione della tipica compagnia del rebetiko (il formato consueto con due bouzouki, una chitarra e un baglama o varianti). Nel “Quartetto di Pireo”, del 1935 partecipavano Markos Vamvakaris , che suonava il buzuki e cantava, Pagioumtzis Stratos che  cantava prevalentemente, il Delios Anestis che suonava buzuki, chitarra e cantava, e Giorgos Batis che suonava baglama e cantava. Durante la storia del rebetiko il buzuki è stato perfezionato ed utilizzato dalle mani di grandi artisti, tra i quali Vamvakaris, Tsitsanis, Papaioannou, Chiotis, Mitsakis e molti altri. Il cambiamento più importante del buzuki è stato introdotto da Manolis Chiotis nel 1950, che ha iniziato ad usare il buzuki a quattro corde doppie, con tonalità moderne, sia nelle registrazioni dei dischi sia sul palco. Il buzuki a quattro corde doppie, essendo più polifonico, consente accordi sempre più ricchi e il numero più alto di corde facilita l'esecutore di suonare con più velocità sulla tastiera con le dita della mano sinistra.

chartura: le mance date ai musicisti, i soldi in carta.

chorofilakes: la polizia di campagna greca

cikrikoni: il tacchino

dais, pl. daithes: dal turco dayi (non si pronuncia la y) significa in turco lo zio, il fratello della madre. Il suo significato include quello di 'protettore', e 'promotore' di difesa (nella società dominata dagli uomini) delle donne. A questo significato, si rifà il termine kabadayi (la b è pronunciato come pi), che significava "grande fratello" inizialmente e, successivamente, quello che nella nostra lingua, abbiamo adottato come Ntais (kaba significa rozzo, grezzo, malfatto). Kapadais oggi viene chiamato il "leader" di bande locali, che controllano il quartiere e impongono il loro ordine e interessi, dal turco dayi, uomo audace e coraggioso, che non sopporta offese, spavaldo e prepotente, dal coltello facile, amante della libertà e autonomia. Sinonimo di rebetis, maghas. Vedi anche la voce kapadais. L'esistenza e l'azione dei daides può essere spiegata se si considera la condizione deprimente della vita delle persone nel XIX secolo. Perfetto abbandono da parte dello Stato, lo sfruttamento predatorio dei padroni, il disprezzo e 'l'indifferenza della società. I daides erano l’espressione contro questa oppressione, la componente militante della povera gente. Le ragioni che guidavano le azioni dei daides apparivano sospette, inspiegabili e criminali. Agli occhi del mondo borghese, ogni atto dei daides sembrava malvagio, rapina, crimine e reato. Il potere e la società gli considerava degli anarchici. Ma i veri daides da sempre erano sinonimo di fiducia in se stessi e convinzione sulla giustizia di ogni loro atto. E per ogni dais la galera era un vanto e veniva considerata come scuola di vita. Il dailiki, il comportamento spavaldo del dais, era un'istituzione che operava sui margini della società e alle spalle dell’autorità. Un contromondo creato dai daides. Un gruppo di persone disobbediendi alle esigenze della società e le leggi dello Stato. Strutturato spontaneamente e 'disorganizzato in una sorta di segreta fratellanza, il dailiki era senza statuto e senza sede. Avevano le loro regole non scritte, che guidavano la loro vita e organizzavano le loro azioni. Stampate nell'anima e nella loro coscienza. Queste regole si fondavano in un senso di smisurata libertà della loro vita che gli spingeva ad azioni spavalde, senza il senso del pericolo. Il dais vuole godersi la vita ma nel autodeterminazione, l’orgoglio e la libertà. I daides preferivano fare i loro affari nella periferia. Quartieri e parrocchie periferiche della grande città, luoghi adatti per le loro attività illegali, dove potevano nascondersi o fuggire. I lavori che facevano i daides, lavori apparenti, per gli occhi della gente, erano insignificanti e comuni. Quelli che stavano meglio avevano un caffè o un osteria, che portavano avanti i loro sottoposti. Alcuni erano membri influenti della Tulumba, l’ organizzazione dei pompieri di Istanbul, come kapadais. Alcuni avevano un pezzo di terra in un villaggio vicino alla città. Ma la professione più redditizia e più bella per un dais era il traffico, preferibilmente di hashish, oppio, tubeki e tabacco.

dalkas: dolore pesante derivante dalla frustrazione di un desiderio.

damira: è l’hascish nell’argot dei kaliardà.

dauli: strumento a percussione nella musica tradizionale dal suono molto potente. Si suona con due bastoni, uno spesso e uno sottile, che colpiscono le due parti in pelle. Si usa molto nella musica della Macedonia e Tracia in combinazione con due cornamuse.

dendrolivano: il rosmarino

derbenderisa, masch. derbenderis: il disordinato, l’instabile, colui che di qua e di là. Dal turco derbeder che ha lo stesso significato.

difillo, trifillo, tetrafillo: lo spinello fatto da due, tre, o quattro cartine.

divani: il divano, viene dal termine arabo di origine persiana diwan, con cui s'indicavano i registri amministrativi, conservati un un apposito locale dove gli scribi lavoravano seduti su cuscini. Dai registri il termine passò a designare l'ambiente e, in modo traslato, l'insieme dei cuscini su cui si sedevano gli addetti alla scrittura. Già in epoca califfale il vocabolo era utile a designare le amministrazioni dello Stato e la cosa sopravvisse anche nell'Impero Ottomano, in cui con esso ci si riferiva al Consiglio dei ministri.Non troppo diversamente successe col vocabolo "sofà", derivante dall'arabo suffa, che vuol dire "cuscino".Il termine originario fu francesizzato in divan per indicare una lunga panchetta con fiancate o braccioli.

drami pl. dramia: unità di peso diffusa in tutto l’impero ottomano, utilizzata in Grecia fino al 1959. Un drami in Grecia è pari a 3,203 grammi . 400 dramia equivalgono a un okà . La parola deriva dal arabo Dirham (o dirham), che a sua volta deriva dall'antica dracma .

dumani, pl. dumania: un luogo chiuso che è pieno di fumo, dovuto alla presenza di molti fumatori.

dumanakias: chi frequenta un tekès senza essere coinvolto direttamente, senza fumare ma sballa dal denso fumo degli altri. Non fuma o perché non ha soldi, o perché non riesce a superare l’inibizione del divieto di usare le droghe;

dumanotripa: un piccolo buco nella parte superiore del narghilè che mentre si fuma viene chiuso con il dito in modo tale da equilibrare le pressioni.

duzeni: termine che significa i diversi modi di accordatura di un strumento musicale. Deriva dalla parola turca "dyzen", che significa "ordine", "armonia". Metaforicamente significa divertimento, buon umore, eccitazione. Nella terminologia musicale, soprattutto per quel che riguarda il buzuki, significa accordature differenti, non solo la classica "Re-La-Re", ma anche altre come come il "karaduzeni" (Sol-La-Re), l" arapien ",il"pireotiko", l’" anihtò”(La-Mi-La), ecc.

fara
nell’argot significa la “piazza”, la classe del sottoproletariato criminale e non. Forma di organizzazione sociale degli arvanites, albanesi, basata sulla provenienza famigliare(simile alla dinastia). Gli albanesi sono stati organizzati in clan famigliari, in particolare durante la dominazione ottomana. Al vertice della gerarchia c’è un capo della fara che da il suo nome ad essa. Nei paesi degli arvanites ogni fara ha dovuto tenere un registro genealogico, molti dei quali si sono salvati come documenti storici nelle biblioteche locali. Di solito ci sono diverse fare in un villaggio e, talvolta organizzate in fratrie con interessi contrastanti. Questi fratrie non sono durate a lungo, perché ogni capo fara vuole essere leader della fazione e non era disposto a prendere ordini da un altro.

filakì: prigione, carcere

fitili: miccia

fissarufa: termine composto dai verbi, fissao: soffio e rufao: succhiare, denota il movimento del respiro nel fumere il narghilè o lo spinello.


fos: luce

fundal’erba, la marijuana.

furfuri: la parte superiore dello spinello, che una volta rollato viene chiusa con cura e poi bruciata perché è solo carta.

ghiaur, ghiauris: dal turco gâvur, preso in prestito dal persiano gabr adoratore del fuoco, è una denominazione dispregiativa, rivolta agli infedeli cristiani dagli Ottomani. Indica odio contro i cristiani.

ghistani: il carcere, cella dei sotterranei senza luce.

kapadais, pl kapadaithes: figura del sottoproletariato di Istanbul tra la seconda metà del XIX sec e la prima meta del XX sec. Nella prima metà del XIX sec. l'equivalente di rebetis era il kulhanbey, Il principe del ipocausto. Ipocausto è il piano seminterrato del Hamam, dove c’è il fuoco per riscaldare l’acqua e gli ambienti del hamam. Si trattava di persone senza fissa dimora che passavano la notte negli ipocausti, al caldo. Erano una sorta di confraternità nella città; per essere ammessi bisognava essere orfani e dimostrare le proprie abilità nel rubare. Un po’ piccolo ladro, un po’ mendicante, il kulhanbey svolgeva lavori occasionali, e tra le loro presunte regole c’era una sorta di "solidarietà di classe" con le donne povere e i facchini. Gradualmente si sono evoluti: cominciarono a vendere protezione e praticare l’estorsione ai negozianti, a rapinare di notte i passanti finchè la polizia nel 1846 arresta circa settecento kulhanbey, la maggior parte dei quali sono stati obbligati ad arruolarsi nel'esercito . Al kulhanbey successe il Kapadais, che spesso ha lavorato come vigile del fuoco (touloumpatzis), lavoro fatto in precedenza dai giannizzeri. Ogni quartiere aveva il suo Kapadais, che spesso era protetto da un potente della città che aveva a sua volta, il ruolo di protettore della pubblica moralità.. Avevano il loro codice d'onore, facevano da arbitro nelle dispute del quartiere, e come la malavita greca, a volte collaboravano con i politici e pascià e vendevano protezione. Il Kapadais era un equivalente esatto della Fara o del rebetis tra le due guerre e frequentava i Shemai kachveleri o "caffè con la musica”, dove ascoltava gli Amanedes e i canti epici (destàn) di colleghi famosi. I loro nomi erano leggendari già tra le due guerre mondiali, quando qualche studioso del folclore ha registrato le loro biografie. Ecco come sono stati descritti alcuni nel 1937: “Il Balatli Tsarktsi Etchem tiene un caffè al Balàt. Il Erzintzanli Airantzi Hamdi scrive domande e costruisce timbri sulla Egioup. Il Balatli Mousevi Nesim fa il venditore itinerante di noccioline al Balàt”. Sono molto interessanti i canti epici o destàn, che di solito raccontano di un omicidio (quasi sempre nella canzone parla l’ucciso), a volte di un incidente sul lavoro (ancora una volta parla l’ucciso), di una prigione, della sofferenza di un soldato ottomano nel deserto dello Yemen, o eventi come incendi e terremoti.

karsilamas: tipo di danza popolare, metaforicamente è un tipo di truffa con destrezza. (Il ladro incontra frettolosamente la vittima, fa finta di perdere il passo una volta verso sinistra e una volta verso destra cercando di far coincidere i suoi movimenti con quelli della vittima mentre il complice del ladro approfitta per svuotare le tasche della vittima.) Il Karsilamas è un ballo casto ma allo stesso tempo erotico, ballato in coppia frontale. Questo significa anche il suo nome (karşılama in turco), poiché "Karsi" significa opposto, contrario. L'origine del karsilamas è dalle coste del Asia Minore. Si è diffuso in Tracia attraverso Costantinopoli e divenne il mezzo di espressione e di intrattenimento per tutti i rifugiati del 1922. La limitazione dello spazio, la semplicità del movimento, la libertà per il numero e i tipi dei strumenti musicali richiesti, la libertà di comunicare, hanno fatto del karsilamas una danza molto amata. Ha dominato e continua a essere molto ballato nelle feste. Ci sono karsilamades lenti e altri veloci. Il tempo è di 9 / 8 e si balla in quattro passi, in tempo 2,2,2,3 (oppure veloce,veloce, veloce, lento). Lo stile e la disposizione variano da regione a regione. E’ un ballo di coppia in posizione frontale, con le mani a livello degli occhi e si muove come in uno specchio: quando uno va fuori, l'altro va fuori, quando uno viene verso l'interno, l'altro viene verso l’interno. Lo stesso accade con i movimenti circolari e le giravolte.Oltre che in Asia Minore e la Tracia, il karsilamas è ballato in tutta la Grecia ma soprattutto nel isola di Lesvos. Lì si incontra una variante col nome kamilieriko probabilmente perché il danzatore imita l'andatura ondeggiante del cammello. In particolare, il kamilieriko quando viene ballato in coppia è considerato come appartenente al gruppo dei karsilamades, e quando viene ballato da una persona sola appartenente allo zeibekiko. Il karsilamas è ballato oggi, dalla Persia fino alla Serbia, in Grecia soprattutto in Macedonia e Tracia.

kiulabeis: dal turco kulhanbey, nella prima metà del XIX sec. l'equivalente di rebetis era il kulhanbey, Il principe del ipocausto. Ipocausto è il piano seminterrato del Hamam, dove c’è il fuoco per riscaldare l’acqua e gli ambienti del hamam. Si trattava di persone senza fissa dimora che passavano la notte negli ipocausti, al caldo. Erano una sorta di confraternità nella città; per essere ammessi bisognava essere orfani e dimostrare le proprie abilità nel rubare. Un po’ piccolo ladro, un po’ mendicante, il kulhanbey svolgeva lavori occasionali, e tra le loro presunte regole c’era una sorta di "solidarietà di classe" con le donne povere e i facchini. Gradualmente si sono evoluti: cominciarono a vendere protezione e praticare l’estorsione ai negozianti, a rapinare di notte i passanti finchè la polizia nel 1846 arresta circa settecento kulhanbey, la maggior parte dei quali sono stati obbligati ad arruolarsi nel'esercito . Al kulhanbey successe il Kapadais.

koboloi: è una specie di rosario composto da perle di osso , ambra , vetro , legno , ecc, forate al centro e passate a un filo le cui estremità sono uniti da un nodo , che vengono mosse lentamente una dopo l'altra; passatempo maschile che risale a epoche precedenti. Viene chiamato anche begleri nel argot del maghas. Nella chiesa latina, un simile oggetto che funge da oggetto ausiliario di preghiera è il rosario ", dalla parola Rozus = nodo, e nella chiesa ortodossa l’equivalente al rosario si dice komboschini, kombos:nodo, schini:corda ". Il koboloi è popolare anche in Turchia e il Medio Oriente. In Turchia viene chiamato tespich. Oggi in grecia viene spesso chiamato efchantro. La parola "Efchantro", denota il processo di secolarizzazione del koboloi che da strumento della preghiera per purificare la mente e il cuore dalle passioni umane, si trasforma in un gioiello e simbolo di prestigio sociale, distante dalla percezione negativa del passato che lo vedeva come simbolo del rebetis, del fannullone e del criminale. Molti rebetika hanno cantato il koboloi e in molte registrazioni di dischi si sente il suono del koboloi nello sfondo.

kubura,kuburi: dal turco kubur, pistola

leventis : coraggioso dal turco levend che significa uomo bello e forte, termine che in greco ha i seguenti significati: l’uomo virile, corpulento, soprattutto il giovane bello e prestante 2. corragioso, colui che osa 3. Lo schietto, che ha carattere dritto, magnanimo e signorile.

madinada, pl. madinades: poesia composta da due versi di quindici sillabe, di solito in rima o quattro semiversi non necessariamente in rima. E’ una spontanea espressione popolare in varie parti della Grecia, ma soprattutto è un caratteristico modo di cantare nel isola greca di Creta , che è famosa per i distici che riflettono i sentimenti, i pensieri e la vita del popolo cretese. Ci sono i distici beffardi, erotici, filosofici e del occasione.

magha, maghatzis: era un gruppo o unità di un esercito irregolare durante la rivoluzione greca contro l’impero Ottomano del 1821 . Il termine si presume che è di origine albanese, col significato di gruppo armato col numero di appartenenti imprecisato. Durante l’impero ottomano la magha albanese era un corpo di uomini armati che non erano membri di una famiglia, come era la fara. La magha era diffusa in tutto l'Impero Ottomano. Così le forze che hanno promosso l’insurrezione del 1821, si sono organizzate in base alla magha, come unità minore delle armate messe in campo. Due o tre maghes, facevano un buluki. Il leader di ogni magha era il "maghatzis" ed era un sottufficiale mentre il capo di ogni buluki era chiamato Buluktsis ed era considerato un ufficiale. Molti di questi bulukia facevano un armata del Kapetanato con leader il Kapetano. In ogni magha c’erano uno o due ragazzi che erano responsabili per la logistica, anche in battaglia si occupavano del rifornimento di materiali e cibo, di impastare il pane, e di altri limitati compiti.

maghas, pl. maghes : figura e tipo sociale del periodo prebellico, forma stilizzata del mondo del rebetiko e era un uomo degli strati popolari urbani, caratterizzato da eccessiva fiducia in se stesso e dall’arroganza, e dall'aspetto e comportamento speciale. Abitualmente il maghas aveva un paio di baffi lunghi, scarpe a punta rialzata, pantaloni a righe e il koboloi. Portavano a mò di cintura una fascia dove nascondevano piccole armi, coltello o pistola. Camminavano con un modo particolare, quasi zoppicassero, indossando solo una manica della giacca. I maghes sono apparsi come kutsavakides intorno al 1870 e al 1892 , l’allora direttore della polizia Bairaktaris li cacciò senza pietà. Oltre alla pena detentiva e il taglio dei capelli , ordinava a tagliare a metà i baffi, costringendoli a radere l'altra metà - un insulto mortale per i maghes del periodo. Tagliava inoltre le punte delle scarpe e la manica della giaca che pendeva. Più tardi, dopo la prima guerra mondiale, il tipo del maghas ha avuto una nuova rinascita, questa volta legata alla cultura del rebetiko che ha dedicato diverse canzoni alla descrizione e alle abitudini del maghas. Maghià l’azione del maghas, maghitis, maghitissa, maghopeda: maghes giovani, mahalomaghas: il maghas del quartiere, kuradomaghas: il maghas di merda, choriatomaghas: il maghas del paese di campagna, Gerontomaghas: il vecchio maghas, vlahomaghas: il maghas delle montagne, skilomaghes:il maghas duro

maggiori, maghioros: capace, abile, che riesce in qualcosa in modo da provocare ammirazione, buon diavolo,sinonimo di tsiftis . La parola deriva dal italiano, maggiore o dal inglese major.Lo incontriamo anche al femminile maghiora o maghiorissa.

mahmurika, da mahmuris: dal turco Mahmur, appena svegliato, senza voglia, che non ha fumato ancora.

maniates: gli abitanti della regione di Mani nel sud Pelopeneso, nella penisola del Monte Taighetos. La penisola sterile e la sua connessione storica con l’antica Sparta, da ai maniates un carattere intransigente, una morale rigorosa, tradizioni dure basate sulla libertà, il sacrificio e l’onestà, il coraggio morale, l'orgoglio e il patriottismo. Dimostrano un grande rispetto per la tradizione, la famiglia e i morti, l’appartenenza alla loro terra e rivendicano con orgoglio che non sono mai stati schiavi di stranieri e hanno sempre vissuto liberi. Praticano la vendetta con l’accettazione della tregua. La prima posizione nella gerarchia della famiglia l’aveva il padre, o in caso di morte, il figlio maggiore. Le donne non avevano diritti ereditari ne altri diritti. Il divorzio era parola sconosciuta. Gli uomini erano costantemente impegnati o nelle guerre tra famiglie diverse o in guerre contro nemici esterni.


mapas: il narghilè

markutsi pl.-a: il tubo del narghilè da dove si ispira il fumo.

marghiola,marghiolissa, marghioliko: graziosa, seduttrice, ammaliante.

mavri, mavro: nero, l’hascish

meraklis,pl. meraklides : chi ha meraki per una cosa: colui che ha la curiosità, la pazienza e l’interesse per la conoscenza e la sensazione dei rapporti e relazioni tra cose, persone, e fenomeni. Dal turco merakli: il curioso, il ricercatore. Filosofi della civiltà del suk, del mercato e della piazza. Ricerca e stile nel arte di vivere.

metavassi: passaggio

mezè: stuzzichino che accompagna l’ouzo.

miconio ipnofora: il papavero d’oppio

mortis, pl. mortithes:dal italiano morte, il briccone, il birbante, l'uomo della strada che vive in modo disonesto o sospetto, il maghas che non ha paura della morte.Il termine nel 800 indica chi in periodo di peste e di epidemie raccoglie i cadaveri dei morti. E’ da questa vicinanza con la morte che vengono chiamati mortis e mortides.

hartziliki: la paghetta, la mancia.


Outi: dal arabo al oud,  l’outi è uno strumento musicale a corda, originario della Persia ed è abbastanza diffuso nella musica del Medio Oriente , ma anche nella musica popolare greca. E’ simile al liuto. Lo strumento persiano chiamato Barpat (oud) somigliava al oud egiziano suonato all'età dei faraoni 3500 anni fa. Gli arabi hanno preso il modo di suonare l'outi da parte dei Persiani. Questo strumento in seguito è stato nominato dagli Arabi oud che significa legno, legno sottile. Da lì, l'oud ha ottenuto il suo nome definitivo.

palikari: ragazzo coraggioso, l'uomo che di fronte a un difficile momento, minaccia o pericolo, non ha paura, ma mostra una grande forza mentale e morale , con un alto senso della dignità personale, il guerriero coraggioso, un adolescente o giovane che è nel fiore della sua età.

panighiri: la festa di campagna dove si suona la musica dimotikà.

patari: soppalco


philotimos,-i,-o: che ha il senso del onore

potirato: modo di fumare l’hascish, utilizzando un bicchiere (p
otiri) d’acqua e una pipa.

presa, presaki, pl. presakia, presakides,prezonia: l’eroina e l’eroinomane

priovolo: meccanismo di accensione prima del invenzione del accendino.

psilos: la caccola di hascish

psirù : la prigione

retsina: tipico vino bianco greco che si ottiene mettendo a fermentare insieme al vino anche la resina di pino.

salvari: tipo di pantaloni orientali.

santuri: dal turco santur, in italiano salterio, strumento musicale a forma di  trapezio isoscele, ha corde di metallo, lungo i due lati paralleli. E 'montato su una base  sopra le ginocchia del musicista. Spesso è appeso sulle spalle quando la festa è itinerante.. Si suona con due bacchette che hanno le estremità avvolte in cotone o in pelle. Le bacchette, con la punta rivolta leggermente verso l'alto, si tengono tra il dito indice e medio, con il pollice. Il nome deriva probabilmente dal psaltirio strumento bizantino, e nel corso dei secoli venne chiamato salterio,  santir. Secondo un'altra versione, il nome deriva dalla parola persiana santar che significa cento corde

sazi: strumento a corde della famiglia del liuto o del taburas. Ha un manico più lungo del buzuki. Di origine persiana si è molto diffuso nella musica turca.

seri: parte del narghilè

sidera: i ferri, la prigione

sirtò: ballo greco, detto strascicato.

stenì: la prigione, la stretta

strugu: la prigione

tsigariliki, pl. tsigarilikia (monofila, difila, trifila, polifila): lo spinello, con una, due, tre o oltre cartine

taburas: strumento musicale appartenente alla famiglia dei liuti.
taksimia: gli assoli del buzuki
thanasis: il narghilè

theriaklis: l’uomo che ha varie manie, il fumatore accanito, dal turco teriakli che significa fumatore di oppio e di narghilè. Theriakliki è la mania di usare vari tipi di tabacco e erbe.
vlamis, pl.vlamides : dal albanese vlum o Vellam, significa compagno, amico, fratello acquisito, amante, maghas e kutsavakis. Si diventa fratelli acquisiti, creando legami di amicizia tra due o più persone con un rito di tipo religioso. Dopo il rito queste persone hanno il sacro obbligo di aiutare un l'altro tutta la vita. Il loro legame non ha limiti.. Se uno di loro muore assassinato l’altro è obbligato a ricambiare il male, per vendicare il sangue del vlamis.

ypocosmos: mondo sotterraneo, l’underground, la “malavita”.

martedì 1 ottobre 2013

Elias Petropulos, Rebetiko, vita, musica e danza tra carcere e fumi dell'hashish



Elias Petropulos: REBETIKO. Vita, musica, danza tra carcere e fumi dell’hashish.
Pagine 128, ill., Euro 11,00

 In queste pagine si raccontano i personaggi, i comportamenti, le cose della vita dei rebetes e del rebetiko, la musica che li accompagna con i suoi ritmi e il suo stile di vita. Una musica che ispira a danze solitarie in luoghi di marginalità, locali equivoci, carceri, là dove il carcere rappresenta l’unica vera scuola di questa musica. Una musica intrecciata a quella di una sostanza, l’hashish e di coloro che la consumano, gli hassiklides con
«quella loro dolcezza e tranquillità tipica che troverò mille altre volte in vita mia, anche se loro sono più interessanti degli ubriaconi e infinitamente più belli dei piccolo-borghesi». Quegli uomini a cui l’hashish «regala rilassatezza, sogni dolci, la desiderata tranquillità che scaccia i pensieri neri».

Questo libro consente anche un bell’incontro: quello con Petropulos, l’uomo che osserva e penetra il Senso della Vita. L‘“antropologo urbano” – come si definiva – che fa una scelta di parte. Studia all’Università della strada. Viene incarcerato. Non si annovera tra gli hassiklides, non è un malavitoso ma sta dalla loro parte, dalla parte di quella umanità “comune” dove vede annidarsi – ed esprimersi - il senso della vita, perfettamente consapevole che non c’è un modo rebetiko di pensare, c’è un modo rebetiko di vivere.

sabato 28 luglio 2012

Zeibekiko, chassapiko, tsifteteli

Testo di Ilias Petropoulos, tratto e tradotto dal libro Rebetika tragoudia, prima edizione del 1968, Atene.



Sulla danza greca in generale
Nel 1834 Nezer(1) ha partecipato ad una festa, dove sono state ballate molte danze greche, anche di Smirne. Il tsamikos è stato il più importante ballo della Grecia. In Grecia, a quel tempo, si ballava il kalamatianòs (cit­tà di Kalamata nel Pelepponneso) e ogni area aveva i suoi balli locali. In Macedonia il sirtòs (strascicato), la gherakina, il pidihtos, il pàrtalo, la gaida, la vlaha, il tranòs ecc.Nel Peloponneso il mèrmigas, il maniàtikos, il tsakònikos. Così anche la Tessaglia, l’Epiro, Creta e le isole hanno le loro danze.

Vari e particolari sono i ritmi delle danze nazionali. Il ballo più facile è il sirtos in 2/4. Ci sono molte varietà di sirtòs e molti altri con ritmo di 2/4 come il menùssis, la tràta di Megara, il piliorìtikos, la svarniàra, la hòra, la sirba e la rumàna (portata dai commercianti dell’Epiro dai loro viaggi in Romania). Il  sirtòs di Rodi è in 7/8 come anche quello di Tzumerka, la gherakìna e il kalamatianòs.
Il tsàmikos è in 3/8 ma ballerini iniziati ballano una versione di tsamikos in 3⁄4, un passo grande che dura 2/4 e uno piccolo in 1⁄4. Con lo stesso tempo, 3⁄4 ballano il fissùni, mentre il mèrmighas si balla in 2/4. In questi balli il ritmo viene dato dal daùli, una sorta di grancassa. Mentre nei rebetika il ritmo viene dato dal baglama e dalla chitarra.
Ci sono balli cantati e balli semplici. Il ritmo 7/8 (si scompone in 3+2+2) è un ritmo usato dagli Slavi e dagli Ungheresi. I balli dimotikà  sono espressioni specifiche degli usi e costumi popolari delle campagne. Nei matrimoni e nelle sagre, canzoni col contenuto specifico, con forme di danza particolari, venivano ballati in gruppo, con corifeo il migliore ballerino del paese. Un rebetis balla per tre minuti perché tanto dura la canzone. I balli dimotikà duravano 5-20 minuti. I rebetika si ballavano in piccoli spazi, con movimenti sottili, perché osservati da vicino. Mentre i balli dimotika, erano balli collettivi. Nei rebetika la danza è un recital individuale.
I dimotikà sono pieni di gioia mentre i  ballo rebetiko assomiglia a un vortice di disperazione. Le facce sono preoccupate, e leggermente aggressive, mentre i dimotikà si ballavano con semplicità e qualche volta con il sorriso.
Un autentico maghas si riconosce anche dalle scarpe. Batte la terra mentre balla. Esistono due danze prin­cipali nei rebetika: il chassapikos e il zeibekiko. Il Tsifteteli (una sorta di “danza del ventre”) è una danza gioiosa e viene ballato principalmente dalle donne.
I rebetes si alzano per entrare nel ballo in un modo molto particolare. Il zeibekikos e il chassapikos sono balli per persone timide e ombrose. I dimotikà sono balli “prestanti” mentre i rebetika hanno sottigliezza e si ballano con i piedi e le mani, con tutto il corpo, con le dita, con piccole inclinazioni, con occhi abbassati e battute dei piedi, Quelli che ballavano i dimotikà portavano grosse divise, pesanti e abbondanti. Mentre i maghes ballano in camicia e pantaloni stretti e senza cintura, il dimotikos era salto e volo. I rebetes mentre ballano guardano la terra, battono con i piedi per terra. Nei balli popolari di gruppo predomina il movimento circolare e palindromico. Il ballo rebetiko è avanti-indietro, battito, giravolta attorno a se stesso, anadiplossi, tor­sione elicoidale, piegamenti. I canti rebetika sono zeibekika e chassapika (metà e metà). I profughi dell’Asia Minore ballavano sirtos, tsifteteli, karsilamas, zeibekiko. A Chiutachia (Kütahya città della Turchia), a carnevale, andavano in giro con violini, clarinetti, outi, chitarre, mandolini e buzukia, di casa in casa ballando zeibekiko. Anche se i dimotikà  sono dei balli di paesi e delle campagne, i compositori di rebetika hanno composto molti balli, sirtos e kalamatianos, dove i versi hanno per tema la città, urbani e non di campagna. I dervisci ottomani, di certi ordini, quando ballavano usavano colpirsi con coltelli o mangiare e deglutire vetri.


 Il Zeibekiko

Sul zeibekiko, troviamo riferimento, nello scrittore ottomano Evlià Celebi(2). Il zeibekiko facilmente si associa al Tsàmikos. Sotto il termine zeibekiko si nasconde una serie di balli simili. I 9/8 del zei­bekiko si analizzano in 2/8+2/8+2/8+3/8, e questo presenta una certa somiglianza con l’analisi rovesciata del kalamatianòs che è 3/8+2/8+2/8. Il zeibekiko turco si balla in gruppo. Famoso è il zeibek-ozunù. Il zei­bekiko cipriota lo ballano le donne. Chi ascolta distingue molte specie di chassapikos e vede il ballo sempre uguale in quanto codificato, mentre lo spettatore, chi vede, distingue molti modi di ballare il zeibekiko, in quanto ballo individuale e sempre differente. 


Per il zeibekiko bastano 4 m2 di pavimento stabile e piano. Il zeibekiko non si balla mai sulla terra nuda, e raramente si balla all’aperto o finchè c’è ancora il sole. Il zeibekiko non ha passi perché è un ballo personale e autodisegnato. Quindi ognuno balla il suo particolare, specifico e personale zeibekiko. I compositori popolari hanno scritto zeibekika veloci e lenti. Ci sono quelli veloci e saltellanti adatti ai gio­vani, che attraversano, camminando velocemente, la pista.
I maghes preferiscono lo iurukiko (il zeibekiko pesante), che ballano con gravità, quasi immobili. Famo­se, dal punto di vista del ballo, sono le canzoni Sarkavliàs, Dikopo maheri e Alibabàs. Famosi per la loro precisione cronometrica, sono i zeibekika di Marcos Vamvakaris. Non è il ritmo che distingue uno zeibekiko dall’altro, ma lo stile. Il zeibekiko si balla secondo il peso e l’età del ballerino.

Siccome il zeibekiko non ha passi codificati, le figure acquistano un valore fondamentale. Il zeibekiko illumina chi balla, lo fa bello come un dio minore. Si balla, appena appena, con i piedi e le mani. Il ballerino, dritto, asciutto, col pantalone basso sulle natiche, fa una serie di meravigliosi “passi” come un albero scrollato. Con facilità si assegnano le figure. Il ballerino si abbassa, fa una giravolta su un piede, finge di cadere, si alza, sempre per finta perde il ritmo e lo ritrova, si spinge verso l’alto, accarezza il pavimento, si inginocchia, batte col palmo i talloni, fa l’ubriaco.
Impossibile che il maghas balli senza voglia o senza aver bevuto. E quando, mentre balla, gli cadono dalle tasche le sue cose, impossibile che si chini per raccoglierle. Mentre balla, ha la sigaretta sulle labbra, ga­rofano all’orecchio e gli occhi nuvolosi. Non dimentichiamo che, fino a qualche decennio fa, si ballava il zeibekiko con i coltelli in mano. Una delle figure più spettacolari del zeibekiko è quando il ballerino balla, tenendo con i denti il tavolo e alzandolo tutto con piatti e bicchieri. I vecchi zeibekika erano taglienti e mar­cati. Ogni ballerino ha le sue figure, inclinazioni, curve, saltelli e giravolte.
Il zeibekiko si balla con le mani e le braccia tese come in preghiera o invocazione.


Il chassapikos (il ballo dei macellai)

Il chassapikos ha passi codificati mentre il zeibekikos no. Ci sono due tipi di chassapikos: il chassapikos e il chassaposervikos. Il secondo si balla due volte più veloce del primo. Alexandros Delmuzos(3), in un articolo del 1911 si riferisce al chassapikos. E’ impossibile stabilire se e quale rapporto c’è tra il chassapikos e il ballo bizantino dei macellai. Il chassapikos e il zeibekikos sono i due balli dei rebetes. Molti anni fa ballavano il chassapikos portando la coppola, leggermente tirata al insù. C’è un chassapikos dell’isola di Sifnos nelle Cicladi. Fanno parte del chassaposervikos i balli allegra, sèrvika e le chores della Rumania.

La raccolta dei balli greci di G. Labelet(4)  inizia col chassapikos. La sua origine forse è di Kostantinopoli. Il zeibekikos è di Smirne mentre il chassaposervikos è di origine slava. Il chassaposervikos con salti vira verso il ballo Cazaska. Il chassapikos ha un ritmo di 2/4. Certi chassapikos molto lenti ricordano le serenate e come serenate sono stati usati dai rebetes. Il chassapikos si balla da due o tre ballerini che con le loro mani si tengono dalle spalle. Non esiste un primo ballerino. I passi sono quattro a terra e uno in aria. I ballerini sono di solito amici stretti, vlamides, dal momento che il ballo richiede sincronismo assoluto e movimenti identici. Se il zeibekikos è il ballo dell’assoluta libertà il chassapikos è il ballo della assoluta precisione. I ballerini che vogliono far mostra della loro bravura ballano due volte più veloci del ritmo della musica e ballano sui tacchi delle scarpe. I balli demotikà in cerchi ampi e con i grandi salti sono balli al aperto; un vlachikos chassapikos, con influenze serbe si balla a Syrrako, in Epiro. E’ un ballo prestante che vuole i ballerini orgogliosi, con il corpo teso, che battono i piedi per terra con forza saltando in avanti e indietro, tenendosi ognuno dalla spalla del altro come nel Tsamikos.


Il modo di camminare è cambiato negli ultimi cento anni. L’uomo di città cammina senza grazia e piegato. Il modo di camminare è molto importante poiché il ballo non è altro che una camminata figurata. Spesso i ballerini del rebetiko esprimono cosi bene il loro mondo e i loro desideri che giustamente possono essere considerati degli artisti sconosciuti. Durante l’Impero Ottomano ballavano il chassapikos i gianitseri e i arnautides (sono i arvanites-albanesi in turco), per questo il chassapikos veniva chiamato anche arnautikos. Si sa che in quei tempi, i arnautides di Salonicco e Istanbul facevano per lo più i macellai.



Il Tsifteteli

Di tutti i balli rebetici solo nel Tsifteteli si sorride. Il zeibekikos è un ballo minaccioso dal momento che inizialmente veniva ballato da guerrieri. Il chassaposervikos ha una sua grazia e ritmo. Il tsifteteli vuole un gioioso movimento del petto e del bacino e dei glutei. Le donne con i seni abbondanti e tremuli, le cosce forti e i sorrisi dolci ballano il tsifteteli con molta più grazia e bellezza degli uomini. Certe volte il tsifteteli si balla sul tavolo pieno di piati e bicchieri (e allora è la apoteosi del corpo femminile) cosi la ballerina non può fare dei passi ma solo piegare e muovere il suo corpo mentre i suoi amici di sotto le battono le mani. Tsifteteli significa “doppia corda”, tsifté: doppia, teli:corda.

 
(1) Christopher Nezer ( 1808 - 1883 ) è stato un ufficiale bavarese col grado di tenente. Nel 1833 arrivò in Grecia con il seguito del primo re di grecia il bavarese Ottone . A metà marzo di quell'anno, fu nominato comandante del Atene. Nezer è stato il primo comandante della città. Il 1 aprile del 1833 ha ricevuto, insieme con il colonnello bavarese Paligkan, la consegna dell’ Acropoli dal  governatore turco di Atene, Osman Efendi. Ha scritto un libro di memorie intitolato I primi anni della costituzione del Regno greco .


(2)Evliya Celebi (1611 – 1684) è stato uno scrittore ottomano, considerato uno degli scrittori emergenti della letteratura turca non tradizionale del XVII secolo. La sua vita si svolge sotto il regno di Murad IV (1623-1640), Ibrahim I (1640-1648) e Mehemed IV (1648-1687). Dopo i trent'anni, nominato aiutante di Malek Ahmed Pascià, che sarebbe diventato gran visir, ebbe modo di viaggiare costantemente sia all'interno dell'impero ottomano che in alcuni paesi stranieri. Scrisse pertanto una relazione in dieci volumi, intitolata Seyahatname (Il libro dei viaggi), considerato ai suoi tempi letteratura d'intrattenimento. Sebbene in alcuni casi sia ricorso all'immaginazione, la sua descrizione di Istanbul, che costituisce il primo tomo della Seyahatname, costituisce una fonte di prim'ordine per la conoscenza della capitale dell'impero ottomano nel XVII secolo.

(3)Kiriakidis Stilpon: 1887- 1964 , storico e laografo folclorista del Università di Thessaloniki. Professore di Studi laografici  e di religione degli antichi greci presso l'Università di Salonicco. Ha lavorato come redattore presso il Dizionario storico della lingua greca (1914) e dal 1918 fino al 1926 è stato Direttore dell 'Archivio Folklore dell'Accademia di Atene. E 'stato direttore della rivista Folklore 1921-1951. Segretario della società greca folcloristica 1914-1926, ha pubblicato numerose opere di folklore e fu un membro fondatore della Società di Studi Makedonikon.

(4)Delmouzos Alexandros, 1880-1956 ,importante pedagogista. Si è schierato, insieme a M.Triantafilidis e D.Glinos per la riforma della lingua greca, e l’adozione della demotiki , il greco neoellenico, e l’abbandono della katharevussa, il greco della koinè ellenistico cristiana, della burocrazia dello stato e dell’Accademia. Ha insegnato pedagogia all’Università di Thessaloniki fino il 1937, quando la dittatura di Metaxàs lo ha licenziato come sovversivo per la religione, la patria e la famiglia.

(5)Lambelet Georgis :1875 - 1945. Distinto compositore, studioso e critico, E 'il primo musicista greco che ha  affrontato la musica greca con coraggio e senza superstizione, ha scritto, La musica popolare greca, 60 canzoni e balli, 1934   Il nazionalismo nel arte e la musica popolare greca, ed.Rodon, Atene,1928.
     Musica popolare greca, Atene, 1933

mercoledì 15 febbraio 2012

Ferri, prigioni, simboli tatuaggi

 Testo di Ilias Petropoulos, tratto e tradotto dal libro Rebetika tragoudia, prima edizione del 1968, Atene.


La parola prigione (filakì) si trova già in un canto del ciclo akritikò (1) e la parola budrumi (Budrum: prigione in turco) nei canti popolari (dimotika). Molte canzoni rebetika trattano il tema della prigione. Il carcere più terribile del XIX secolo era quello di Palamidi, nel Pe­leponneso, ma dopo la liberazione di Salonicco (1912), il più duro diventa il famoso Ghedi-Kulé (Eptapirghio in greco) della capitale macedone. Vamvakaris in una sua canzone, usa il verso “ela mia mera na me dis” (vieni un giorno a vedermi) che ricalca il verso di una canzone popolare del XIX secolo “ela st’Anapli na me dis”. Tutta una serie di rebetika sono scritti apposta per il carcere di Ghedi-kulé (Cala la notte a Ghedi -kulé, Il muro di Ghedi-kulé ho saltato una notte, Il fuggitivo di Ghedi-kulé). Parlano della cella, in vari modi e in molti rebetika. E si parla anche di tribunali, pene, fucilazioni all’alba, catene, chorofilakes (carabinieri), ferri e secondini.

“Desmofilakes anixte simera ti filakì
ke ti mana mu afiste narthi tho ja na me di”

“Secondini aprite oggi il carcere
e lasciate che mia madre venga a trovarmi”

Ai vecchi tempi i soldati chiamavano minaretti le punizioni in isolamento per 30 giorni.
I rebetes chiamano il carcere skolìo (scuola), strugù, sìdera (ferri), ghistani, psirù (pidocchiosa), colleghio, hapsi, stenì (stretta).
Stenì è una piccola area, un cortile (m. 1x3) del carcere di Palamidi, che si trova sull’isolotto di Burzi, di fronte alla città di Nafplio. Descrizioni eccelse del carcere nafpliota ci ha lasciato, lo scrittore Karkavitsas (2), in certi suoi racconti dimenticati o sconosciuti. Set­tantacinque anni fa Karkavitsas ha pubblicato sul giornale Estia dei racconti dove con emozione e in poche parole parla del boia di Palamidi, che abitava nell’isolotto di Burzi, di Miltiadis settore duro del carcere, di Aghio Andrea, altro settore del carcere destinato ai condannati con 5-15 anni di pena, dell’Arapi (l’arabo) cella tremenda, nei sotterranei del carcere, del gioco dei dadi e del buzuki che suonavano i carcerati, del punto a croce che molti facevano, delle loro canzo­ni, dei tatuaggi delle loro braccia, della fame e della tubercolosi che decimava i carcerati.
 I greci hanno conquistato Akronafplia (il castello della città) dai turchi il 3 dicembre 1822. Allora la chiamavano Its-kalé (for­tezza interna). Sono state costruite caserme e prigioni sotto il governo di Capodistria e il regno di Ottone, e ancora sotto quello di Giorgio I. Le stesse caserme e prigioni dove, qualche secolo più tardi, il dittatore Metaxas(3) rinchiudeva i comunisti. Poco tempo fa è stato chiuso il carcere di Acronafplia e di Palamidi, mentre il Ghedi-kulé a Salonicco è ancora funzionante.
Il settore del carcere dove vengono messi hassiklides ed eroinomani, si chiama Presvia (Ambasciata), la cella di isolamento (Arapis, “il nero”, il “negro”, l’arabo) “la nera”. Famosa la cella 15 a Ghedi-kulê dove in mezzo alla cella passava la fogna. I carcerati chiamano i secondini Prassini fili (la tribù verde) a causa del colore verde della divisa e li odiano fino alla morte. Si è soliti dire tra i condannati che il migliore della tribù verde lo devono impiccare. E quando la campana suona il silenzio, i prigionieri sussurrano:
“Filakes grigori­te/ emis kimùmaste ki essis gamithité”
(secondini affrettatevi/noi a dormire e voi fottetevi)

Il carcere è una micrografia di società particolare, con le sue regole, le sue differenze e le sue punizioni. I carcerati chiamano “il mondo fuori”, la società e la loro vita, è alquanto singolare. C’è un certo modo di riposare, di complottare, di lavorare, di fare la spia, di ipocrisia, solidarietà etc. Dentro al carcere la mastur­bazione e l’omosessualità sono come istituzioni. I carcerati sono uomini con un’esperienza immensa. La sera mangiano leggero, così non si appesantiscono, causa mancanza movimento. C’è una strofa caratteristica:
Triti – pempti macaronia
ki o maghas vgazi chronia
ke tin kiriaki me kreas
ke tzampa o kureas”

Maccheroni martedì e giovedì
e il maghas vive a lungo anche lì
la domenica c’è carne
e il barbiere è gratis

Nelle carceri si sentono storie terribili, che ti stupiscono. Il modo in cui i secondini tirano fuori i condannati a morte, per portarli alla fucilazione è tragico. L’espressione “tha fai o kolos su choma” (il tuo culo mangerà terra) significa che ti fucileranno. I carcerati sono dei mitomani: compongono lunghissimi canti rebetika che si trasmettono oralmente. Questi canti hanno una melodia elementare e tutti si assomigliano tra di loro. Quando li cantano usano come strumenti vecchie latte o cucchiai. Un tempo costruivano dei bagla­ma (piccolo buzuki) dalle anfore di terracotta. Adesso nelle prigioni sono vietati tutti gli strumenti, anche le ceramiche.

11. Simboli e tatuaggi

C’è un verso di una canzone popolare “katamessis sto stithos tu kori zografismeni” (in mezzo al petto una ragazza disegnata) che allude evidentemente a un tatuaggio. Prima che il tatuaggio diventasse segno e simbolo degli uomini della malavita, era abitudine in molti paesi che le donne si tatuassero dei simboli (la croce) alla radice del naso o sul dorso delle mani e gli uomini sulle braccia o sul petto. Il tatuaggio piace molto ai marinai e ai carcerati. Disegnano sul loro petto cuori infilzati da coltelli, nomi di donne, la loro amata, amo­re, giuramenti ed altro. Certi che resistono al dolore disegnano sul loro fallo una donna, dove la sua bocca, coincide con l’uretra. I colori usati sono per lo più il rosso e il blu. Nella malavita greca non si usano sim­boli complessi, o segni particolari, o scritture o mezzi di comunicazione come i fischi. Sono degni di nota i disegni e le scritture sui muri delle celle e dei bagni pubblici. Di solito sono proposte oscene intorno al verbo gamò (fottere) e disegni di donne che accolgono un immenso pene tra le gambe, o scene di inculamenti e altre che tutti conoscono.
  

(1) Akritikos kyklos o akritikà tragudia sono canti dimotikà che si riferiscono alle imprese dei akrites, le guardie di frontiera orientale dell'Impero bizantino .. Sono i più antichi canti popolari greci conservati e assomigliano al poema in versi del 12 ° secolo noto come "Epopea di Digenis Akritas. 

(2) Karkavitsas Andreas, scrittore greco ( 1865 - 1922 ). Si tratta di uno dei tre maggiori rappresentanti insieme a Alexandros Papadiamantis e Vizyinos Giorgios del naturalismo nella letteratura moderna greca.
 
 (3) Ioannis Metaxas ( Ithaca 12 aprile 1871 - 29 gennaio 1941 Atene ) è stato un alto ufficiale del esercito greco e poi primo ministro e dittatore (1936-1941). Ha preso parte alle guerre balcaniche e il 1917 fu esiliato in Corsica Nel 1936 , dopo varie circostanze, è stato nominato Primo Ministro della Grecia, e poi ha guidato l'imposizione del regime dittatoriale del 4 agosto, rimasto fino alla sua morte nel 1941.

Dimotikò e laikò tragudi

Testo di Ilias Petropoulos, tratto e tradotto dal libro Rebetika tragoudia, prima edizione del 1968, Atene.
Fin dal I secolo, il termine tragodia significa canto. Non è stato Zampeliòs (Spyridon Zampelios,1815-1881, storico e scrittore greco) ma Stilpon Kiriakidis ( Stilpon Kiriakidis: 1887- 1964 , storico e laografo folclorista) che ha mostrato quando il termine “tragedia” ha cambiato significato. Fino al 1950 il popolo greco ha creato e cantato canzoni d’amore in modo spontaneo. Dopo è stato difficile proseguire con  la composizione di melodie popolari di ogni forma, come nei periodi precedenti . La distinzione tra dimotikò e rebetiko  diventa comprensibile con la spiegazione dei ter­mini dimotikò e laikò. Comunemente accettate sono le seguenti definizioni: dimotikò tragudi (chançon folklorique) è la canzone popolare delle campagne, composta durante il feudalesimo, mentre laikò (chançon populaire) è la nuova canzone del popolo delle città. Precisamente, per la Grecia, dimotikà sono tutte le canzoni del popolo greco composte fino al 1821, mentre laikà sono le più recenti canzoni delle città, le serenate e i rebetika. Il rebetiko deriva, come forma e contenuto, dalle rime e dalle madinades (canti cretesi). La sua sostanza è l’“eros”, l’amore. Un amore vissuto sotto particolari condizioni, che sposta necessariamente il peso verso il contesto sociale. Il dimotikò descrive ambiente, vestiti, paesaggi. Il rebetiko descrive i senti­menti. Se l’asse del dimotikò è: eros – natura - ribelli (kleftes) – ottimismo – morte, quello del rebetiko segue la linea: eros – madre – rimpianto – povertà.  Il dimotikò tragudi, certe volte, aveva dei bersagli (i turchi, i benestanti, i monaci) finalità e missione precisa.
Il rebetiko tragudi è misura di una realtà triste, che si esprime durante la festa, con poche parole. Luogo di riferimento dei dimotikà sono i monti Agrafa. La prima parola o il primo verso di molti rebetika, spesso esprime molta amarezza. Si può dire che poca influenza hanno avuto sui rebetica le fiabe popolari. La scelta tra il Bene o il Male (frequente nei rebetica) forse è un elemento delle favole. Qualcosa di fiabesco c’è nella canzone di Tsitsanis “Htizun ke gremizun kastra” (costruiscono e demoliscono castelli). Comunque sembra che i rebetes prendano gli elementi fiabeschi fuori dalla Grecia, poiché i pochi elementi che troviamo nelle loro canzoni si trovano nei rebetika dell’Anatolia.

lunedì 12 dicembre 2011

Dal 1922 al 1952, i tre periodi del rebetiko

 Testo di Ilias Petropoulos, tratto e tradotto dal libro Rebetika tragoudia, prima edizione del 1968, Atene

Dal 1922 fino al 1952


Fuga da Smirne, 1922.

L’ultimo grande spostamento di popolazioni tra Grecia e Turchia,  è avvenuto nel 1922 (La Katastrofì). I greci che abitavano le città e le coste dell’Asia Mino­re, avevano già abitudini borghesi e poche tradizioni. Da profughi sono stati i principali diffusori dei rebetika insieme con i carcerati, gli hassiklides (fumatori di hascish), e i soldati. Dal 1922 fino al 1932 escono  dischi con nome o  pseudonimo del compositore, con famose (per l’epoca) cantanti (Marika Politissa, Rita Ambatzi, Rosa Askenazi), con san­turi, violini, e outia. Queste canzoni erano dette di stile arapiko o anatolitiko (anche Hiotis ha composto anatolitica più tardi) e la provenienza da Smirne era resa molto evidente.

Rosa Eskenazy con 
Mitsos Memsis( violino) e Agapios Tomboulis (tabur), 1932

Solo trent’anni è durato il periodo d’oro del rebetiko: dal 1922 al 1952 circa, suddiviso in tre periodi.
Nel primo decennio si affermò lo stile smirneiko, della città di Smirne ma nessuno dei compositori conosciuti all’epoca (Paul, Eitiziritis, Dragatsis, Marinos, Karipis) divenne famoso. Nel secondo periodo (1932-1940) gli outia hanno fatto posto a buzukia e baglamades, e le cantanti dei  kafè-aman ai “severi” cantanti dei tekedes che erano contemporaneamente composi­tori, parolieri e virtuosi del buzuki. Fu allora che il rebetiko, con classica semplicità, ha svelato il genuino mondo dei margini. 

 Il famoso quartetto di Pireo: Vamvakaris, Delias,Batis, Paghiumtzis,
Nel secondo periodo, che è l’epoca d’oro del rebetiko, periodo classico, emerge il rispettabile Markos Vamvakaris, grande cantante popolare, compositore e strumentista. E accanto a lui Tountas, Baianteras, Batis, Anestis Deliàs (che è morto giovanissimo), Stratos Payumtzis, Morfetas, Hatzihristos, Peristeris, Papaionanou.
Alla fine, il terzo periodo o laikò rebetiko (1940-1952) è l’epoca in cui Tsitsanis ci ha regalato le sue migliori canzoni, dove Markos (Vamvakaris) cantava Tsitsanis e Hiotis, suonava il buzuki nel disco di Harma. Era l’epoca della fame, dei forni crematori, degli spari e del terrore e di tutto ciò il rebetiko non ha cantato perché era ancora all’inizio. Non ha potuto però evitare di risentire la tragedia del periodo. Vassilis Tsitsanis è il mago di quel periodo, che fa si che il rebetiko diventi popolare, che ha parlato d’amore con la tenerez­za di una fanciulla, che ha pianto di nascosto per tutti quelli che sono caduti negli incroci sotto i colpi dei traditori, che suonava il buzuki in modo perfetto. Allora, Tsitsanis insieme a Mitsakis e a Hiotis hanno scelto nuovi cantanti con voci che ricordavano pescatori, muratori e verdurieri. Tsitsanis ha abbandonato definiti­vamente l’outi, il santuri e la mandola (la mandola la suonavano Tountas e Tsitsanis quando era ragazzo) usando nelle sue vecchie canzoni solo il buzuki e la chitarra. 

 Vasilis Tsitsanis
Inoltre Tsitsanis ha arricchito il rebetiko con taksimia (accordi, scale, melodie) complessi e difficili da suonare,  è stato il primo ad autonominarsi  nelle sue canzoni, ha cantato le pene d’amore, ha lasciato da parte le rime facili, ha scritto un vero e proprio inno panellenico – la “sinefiasmeni Kiriaki” (Domenica nuvolosa).
Le canzoni di Tsitsanis erano melanconiche, gentili, virtuose e sacre.
Ognuno di questi periodi (smirnèiko, classikò e laikò)  ha il suo stile e ogni stile si distingue chiaramente dall’altro.

Sul divertimento

Alla radice del (buono o cattivo) rebetiko, si trovano le cause, i modi e i luoghi del divertimento. Il maghas fa la passeggiata (seriani o tsarka) al mattino o al pomeriggio. Però le sole ore che contano sono quelle serali, alla taverna. Taverne e locali simili sono conosciute anche nel canto dimotico. La mescita di vini era luogo di bevute. La festa paesana (panighiri), la fontana del paese, la locanda, erano luoghi di vita all’epoca del canto dimotiko. Nella festa del dimotiko si mangia e si beve, mentre in quella del rebetiko si beve soltanto. Festa senza bere non si fa. Il bere nel dimotiko è festa collettiva, però i rebetes bevono e fanno festa per liberarsi dall’ama­rezza. Cercano l’oblio. Una noia mortale stringe le città. La festa del paese era festa popolare nella piazza (panighiri) o nel cortile della casa (gamos, matrimonio), durava almeno un giorno di danze saltellanti, molte voci e risate, con danzatori orgogliosi che volavano in aria, con spari e boati, era una vera gioia di vivere.I rebetes fanno festa nelle taverne, di notte, seduti, quasi melanconici, con improvvisi scatti rompono piatti, o cercano rogne, ballano piegati e allora battono la terra assorti. La festa moderna dura poche ore. Una festa del secolo scorso (XIX) durava da uno fino a sette giorni. Nelle feste di campagna del XVII secolo, c’era ordine, una serie di riti, rispetto dello spirito collettivo, danza collettiva, canto collettivo, tavola comu­ne, infinite offerte da un tavolo all’altro, qualcosa di analogo presentano quadri di pittori stranieri che rap­presentano feste neoelleniche degli ultimi secoli o anche feste dell’europa occidentale (kermesse). Adesso ognuno fa festa con se stesso, rinchiuso in piccoli gruppi in mezzo a sconosciuti, disadattati, senza sentire né vedere. Nella festa del rebetiko regna l’egoismo, l’assenza di organizzazione. C’è una differenza sostanziale tra la “gioia” (kefi) della festa aperta delle campagne dal gruppo chiuso della taverna. Temporalmente, il panighiri avveniva nel passaggio tra una stagione e l’altra. Il rebetis invece fa festa per fuggire dalle noie personali cercando la compagnia per comunicare le sue amarezze
 “ferte mia kupa me krassi ke kante mu parea”
“portate un bicchiere di vino e fatemi compagnia”
I canti rebetika e la danza zeibekiko sono espressione di questa amarezza della vita. Tutto è espressivo in un magha, come si siede, come invoglia l’amata
(“spasta re Mariò, ke ta plirono ego”
“rompi tutto re Maria, pago tutto io”)
come si alza e come piega la testa, come fuma, lo sguardo obliquo, come litiga. Di solito il rebetis finiva la festa all’alba, tornando a casa o in macchina o in calesse.