venerdì 13 dicembre 2013

Mastura, hascish e droghe pesanti




Testo di Ilias Petropoulos, tratto e tradotto dal libro To Aghio hassissaki, prima edizione del 1987, Atene.
 
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Vent’anni fa, quando scrivevo i tre paragrafi dedicati all’hascish e alla tossicomania in Rebètika tragoùdia, mi trovavo in una situazione contraddittoria, psicologicamente e ideologicamente. Per proseguire con il presente testo, sono obbligato a presentare il contenuto dei suddetti paragrafi.
Dicevo, in quel tempo che:

L’hascish

Quella dell’hascish è una storia antica e, nello stesso tempo, completamente nuova. Lo conoscevano gli Sciti e ce ne parla anche Erodoto. Però gli antichi greci e i romani non lo usavano. Il nepenthès di Omero, pianta di provenienza egiziana, forse è hascish, forse oppio. Inizia intorno all’anno 1000 d.C. con i maomettani la grande diffusione di questa sostanza. In Grecia è arrivato dall’est e principalmente tramite ex-carcerati di Smirne, Missiriò, Prussa, Scutari e paesi arabi intorno al 1880. Poco dopo, nel 1890, ci sono i primi decreti proibizionisti. La totale proibizione della coltivazione dell’hascish arriva nel 1923, mentre solo negli ultimi anni è punibile anche il consumatore di hascish. Fino ad allora solo i trafficanti venivano perseguiti penalmente. Dal 1925 lo stato ha il monopolio dell’hascish.

L’hascish (hascish el fokara: erba dei poveri) è un prodotto della canapa indiana, pianta che cresce anche in Grecia, soprattutto nei terreni grassi. Le piantine della canapa si piantano segretamente in giardini chiusi o in mezzo a coltivazioni appartate come i campi di mais. Di conseguenza il canapaio può essere con o senza acqua. Dicono che il miglior hascish lo fa la canapa coltivata senza acqua e in terreno povero. Quando le piante maturano vengono tagliate le cime, e allora si ottiene la fùnda che viene seccata e poi polverizzata sopra un piano. Dopo questo materiale viene passato attraverso setacci di varia maglia, utilizzando anche le calze di seta, finché non rimane che polvere sottile. L’hascish polverizzato viene messo in sacchetti e pressato per due, tre mesi in modo che diventi compatto. I sacchetti di hascish sono destinati al commercio all’ingrosso. Esiste anche un altro tipo di trattamento dell’hascish, più facile e veloce, buono per il commercio al minuto: piccole quantità di hascish in polvere vengono inumidite e poi stirate con il ferro caldo. Il prodotto viene offerto sul mercato in stecche o palline (tsìkes o tzùres) di colore che va dal verde-marrone fino al nero. Kainàri è l’hascish pregiato. Esistono bevitori di hascish (hassissopòtes), mangiatori di hascish (hassissofàghi) e fumatori di hascish (hassissokapnistès). L’hascish si prende infatti col caffè, con i dolciumi, la sigaretta o il narghilè. Nel caffè aggiungono della polvere di hascish crudo. Nei dolci l’hascish è mischiato con sciroppo, fichi secchi e noce moscata. Come sigaretta esistono due modi di fumarlo: la sfìna (il cuneo) e il tsigarilìki (lo spinello). La sfina è il modo più semplice. L’hassiklìs, con attenzione e con un fiammifero, fa un buco nella bocca della sigaretta e inserisce un vero e proprio cuneo di hascish. La dose basta per uno o due persone. Il tsigarilìki lo si fa con due cartine che si rollano in una sigaretta conica piena di tabacco e hascish sbriciolato. Il filtro dello spinello, fatto di cartoncino si chiama tzivàna (o tziovàna o giovàna). La parte opposta dove si accende si chiama furfùri.

Di solito gli hassiklìdes fumano lo spinello perché si fa al volo e non necessita di un luogo particolare. Mentre il narghilè, màpas, kalàmi (canna), o thanàssis me to trìpio to kefàli (il thanassis con la testa bucata) ha bisogno di un luogo adatto e un minimo di lavorio. Prima di tutto il narghilè viene fumato nei tekè (i turchi chiamavano tekès i mausolei dei pascià, dei dervisci o dei generali e i monasteri) e, quando questo è impossibile, nelle grotte, sulle spiagge deserte, ai confini delle città e ultimamente nei taxi ingaggiati apposta. Nel tekès regna l’ordine, il silenzio e la gerarchia. Lì i più giovani rispettano i vecchi. Le persone più importanti nel tekè sono il teketzìs e il tzaktsìs, cioè colui che con il pollice schiaccia i lulàdes28 e li serve. Tsitsànis in una canzone proibita paragona il tekè a una chiesa. Siccome il vero narghilè è costoso e difficilmente si può nascondere, si confezionano narghilè d’occasione da piccole anfore, noci di cocco, salvadanai di terracotta, lattine, bicchieri e ancora con melanzane, zucche, meloni, pagnotte, patate e mele.


Il tipico narghilè consiste in un semplice sistema, costituito da due tubi inseriti in un contenitore sferico e chiuso, quasi pieno d’acqua. Il tubo perpendicolare, chiamato sèri, arriva fino al fondo del narghilè con la bocca tagliata obliqua in modo che possa passare l’acqua e l’aria. Sopra il sèri è sistemato il lulàs, fatto di pietra di Malta o anche da una patata. Nel lulàs mettono il tubekì, tabacco persiano tagliato sottile, misto all’hascish. Sopra quest’ultimo mettono due o tre carboncini accesi. Questo piccolo fuoco viene chiamato rufiana. Per un narghilè come si deve il tubekì deve essere lavato. Nel lulà avviene la combustione dell’hascish. L’hassiklìs fuma il narghilè tirando da una canna laterale, il tirante, così il fumo dell’hascish scende dal sèri e dopo sale sotto forma di bolla nell’acqua. L’acqua ha la funzione di filtro. Nella parte superiore del narghilè c’è lo iuf (iouf), o dumanòtripa; è un piccolo buco che mentre si fuma viene chiuso con il dito in modo tale da equilibrare le pressioni. Dopo l’uso viene tirato fuori il lulàs, e si mette il narghilè in un secchio con acqua fredda, così da mantenerlo fresco e pulito, altrimenti si formerebbero impurità, chiamate zafìria. L’ideale sarebbe far scendere il secchio con il narghilè in un pozzo. La parola narghilè proviene dal termine persiano narghilel, noce indiana. I turchi chiamavano il narghilè sisselì, bottiglia.

Qualche volta gli hassiklìdes sballano, si ubriacano, respirando il fumo dell’hascish, che brucia in una stufetta, dopo aver chiuso bene porte e finestre. In questo caso gli hassiklìdes si chiamano dumanàkides (da dumàni: nebbia di fumo). In prigione i carcerati fumano gli spinelli nel letto, avvolti nella coperta, così respirano per molte volte i dumània senza che niente vada perso. Quando però i carcerati non hanno l’hascish fumano contemporaneamente tre sigarette o inghiottono un po’ di aspirine. Sembra che così facendo provino vertigini o sollievo. L’hascish odora come il livàni, incenso libanese. Gli hassiklìdes usano i verbi bere-fumare-tirare.

Il bere sostanzialmente è un verbo da taverna. Il fumare deriva dall’epoca in cui è stato introdotto il tabacco nell’impero ottomano; nei secoli dell’impero si fumava il tabacco nelle pipe o nei narghilè. Ci sono pervenuti molti disegni e incisioni sul tema. In ogni kubùra, selàhi, cintura dell’epoca, comparivano sempre la tabacchiera, la pipa - il priòvolo (lo stoppino) -, che accendeva l’esca, o il tsakmàki, insieme al fitìli. Famosissime erano le pipe di Alì Pascia, il pascià di Ioannina.

 
Generalmente ogni pipa aveva un corpo di terracotta, una siringa, semplice o scolpita, corta oppure lunga fino a un metro e mezzo, ed un bocchino, imamè, fatto di ambra. Costavano cari e per questo venivano sempre riportati nei protocolli di sequestro della gendarmeria turca. Nei canti popolari (dimotikà) non si fa riferimento all’hascish, mentre molte canzoni rebètika sono state fatte proprio per cantarlo. Il fumare tabacco e sigarette è riconosciuto sia nei canti popolari sia nei rebètika. Le espressioni sigaretta, sigarettina, tabacchiera, tabacchiera con tabacco le troviamo anche nei versi popolari.

Due modi veramente rari di fumare l’hascish sono il potiràto, in cui si usa il bicchiere come narghilè, e un bocchino da sigaretta, e lo iufato, sistema per cui, mentre l’hascish brucia in un incensorio, l’hassiklìs respira il fumo con una pipa vuota. 

 
§ La mastùra (lo sballo)

Il tekè è una delle fonti del rebètiko, o per lo meno di una sua parte. Chi fuma può perdere l’assuefazione ma non dimenticherà mai l’hascish. L’hascish lo si fuma nei tekè o nelle colline intorno alla città.

H màna mou me èsterne skoliò ia na pighèno
Ma gho travùssa sto vounò me màghes na fumèrno.

La mia mamma mi mandava a scuola per imparare
ma io andavo in collina con i màghes a fumare/

Famoso era il tekè di Sidèris, a Salonicco, che era stato immortalato dalla canzone di Tsitsànis.
L’uso dell’hascish è un vero disastro, il magico hascish è sicuramente il paradiso artificiale in terra, insostituibile per i disperati. Per questo lo fumano i poveri che si lasciano andare, e le persone sensibili per il corpo mortale che si disintegra. Si fuma e si dimentica. Attraverso l’hascish si realizzano speranze altrimenti vane. Fumano gli innamorati, tanto tutto finisce in amarezza. E gli amareggiati non li vuole nessuno.

Na fumàro na bafiàsso ke tis pìkres na xehàsso.
Fumare fino a crepare, l’amarezza dimenticare.

Ancora fuma l’hascish chi vuole dormire senza spegnersi, chi vuole suicidarsi per tutta la vita. Tutti quelli che fumano hascish si sono fatti trascinare, e così si mettono ai margini del vortice sociale.

To hassìsi ki an fumàro eghò kanèna den piràzo/
Anche se fumo hascish non do fastidio a nessuno/

Sicuramente lo stato esistente mantiene le apparenze. La polizia vieta il fumo. Però gli hassiklìdes sono più interessanti degli ubriaconi e infinitamente più belli dei piccolo-borghesi. L’hascish regala rilassatezza, sogni dolci, la desiderata tranquillità, allontana i pensieri neri che genera la povertà. La povertà è una macchia. Nessuno vuole essere povero. E nessuno vuole sapere di essere povero. L’hascish è un sostituto della vita. Lo sballo è un peccato. I turchi non fumano hascish durante il Ramadan. Gli hassiklìdes con esperienza non fumano sigarette né bevono alcool perché gli sembrano senza sostanza. Gli hassiklìdes son buoni, sensibili, oziosi; tutti quanti prima o poi finiscono per oziare.

Il narghilè viene considerato un oggetto sacro dagli hassiklìdes, come un bicchiere sacro, Il santo calice e l’ostia. Un attrezzo valoroso, la cui perdita è considerata una sventura.

Mi hiròtera, theè mou, èspasa to narghilè mou/
Mio dio che sventura del narghilè la rottura/

Kir-lohaghè, kir-lohaghè, mas èspases to narghilè/
signor tenente, signor tenente, il narghilè ci hai rotto.

Nei tekè lo sballo con l’hascish, la mastùra, costituisce piacere collettivo. Perché il narghilè passa di mano in mano mentre i baglamadàkia, piccoli buzùki, danno colore alle allucinazioni e sensazioni più strane. Una lunga tradizione vuole che il narghilè sia “bevuto” in silenzio, senza una parola. Quelli che hanno provato dicono che l’ora migliore per la mastùra è verso sera oppure presto al mattino con il fresco. E ancora che il mastùris, colui che sballa, è meglio se ascolta qualcuno che canta o suona qualche strumento.

Aftì ton pìnun ki eghò sfirìzo tis mastùras ton skopò/
Gli altri lo bevono, io dello sballo il ritmo fischio/

Si è registrato un innalzamento del consumo durante i momenti più difficili, come il 1897, al tempo del disastro dell’Asia Minore (1923), durante l’Occupazione nazista, ma anche nel corso della guerra partigiana e di quella civile.

La maggioranza degli hassiklìdes (i non delinquenti) sono disoccupati o inoccupati. L’hascish è diventato una piaga delle grandi città, un virus psicoerosivo nei porti. Si offre in tutti i quartieri popolari.

De mu lète, de mu lète, to hassìsi pu puliète/ Ditemi gente ditemi, l’hascish dove lo vendono/

To pulùn i dervisàdes, stus epàno machalàdes/ Lo vendono i dervisci, nelle piazze dell’alto borgo/

Il prezzo dell’hascish dipende dalla qualità e sicuramente dalla caccia che la polizia dà ogni volta ai commercianti. Un hassiklìs non si dispera se non può trovare o comprare hascish. Semplicemente sente che gli manca qualcosa ma poi trova sempre qualche amico che gli fa fare un tiro. Tre o quattro tiri ben fatti possono bastare.

Ad un hassiklìs di lungo tempo bastano tre o quattro tiri ben fatti per sballare. Il fumo respirato si tiene a lungo nei polmoni e questo provoca tosse secca. In pochi secondi si manifestano i primi segni dello sballo. Inizialmente faccia bianca, battito debole e dopo tachicardia, fischi nell’orecchio, senso di rilassamento, sete, bocca secca. Il peso corporeo sparisce, il tono muscolare è alto. Chi ha fumato vola con la fantasia. Desidera ballare danze sensuali. Senza perdere la coscienza del mondo, dimentica le cose da fare, e vola verso un mondo nuovo, dove esiste un’altra vita piena di bellezza e godimento. 

Le tristezze si dissolvono, i pensieri si realizzano automaticamente, una stimolazione dei desideri che produce benessere. Immagini nascoste si ripresentano, desideri rimossi, milioni di colori, un caleidoscopio di suoni, armonia universale, un sorriso solitario. Immagini fantastiche, battiti d’ali di seta, proiezioni fantasmagoriche, soprattutto erotiche, si dipanano davanti agli occhi. Assorbimento totale, lo sguardo fisso verso un punto-zero, immobilità per paura del dissolversi della dolcissima e avvincente visione. Alla fine arriva un sonno tranquillo, sogni dolci e il risveglio con piacevoli ricordi.

In apparenza la vita dell’hassiklìs assomiglia a quella dei non fumatori, una vita comune a tutti. L’hassiklìs è un soggetto tranquillo e rilassato. Anche se ci sono tesi contrapposte, l’hassiklìs non offre nulla alla società, anzi ne è un parassita. L’hassiklìs è incapace di creare qualunque cosa. Principalmente assorbe, succhia. Ogni uomo sensibile e spirituale deve essere un nemico convinto degli hassiklìdes.

§. Le droghe pesanti

Oltre all’hascish esistono anche altre droghe cui fanno riferimento e certe volte decantano, Baudelaire, Kavadìas, Lapathiòtis, Papanikolàou ed altri. La più famosa è l’oppio, miconio afioni, che è il prodotto di un tipo di papavero (miconio ipnofora), conosciuto sin dall’antichità, che in Grecia cresce spontaneo in Tracia e Macedonia. L’oppio viene mangiato o fumato dalle persone libere da pregiudizi. In Grecia tempo fa le madri davano afiòni, tisana di papavero ai bambini per non piangere, ma l’oppio era sconosciuto come narcotico, droga vera e propria. Nell’esodo silenzioso dall’assedio turco della città di Missolungi, si racconta che le madri hanno fatto bere afiòni ai bambini cosicché i turchi non li potessero sentire. 

La modalità di utilizzo dell’oppio è complessa: nell’estremo Oriente lo fumano sdraiati, usando tutta una serie di strumenti come la pipa, il caminetto, lo spiedo, il coltellino, e i canti popolari cinesi riferiscono le regole per fumare bene l’oppio. Proprio questa difficoltà tecnica che ha portato al successivo uso di alcaloidi (acido miconico, morfina, tebaina, papaverina, codeina, narcotina) e di sottoprodotti della morfina (eroina, peronina, apomorfina), quindi in senso moderno alla droga.

Fra i narcotici di questa categoria hanno avuto una grande diffusione la morfina e l’eroina, ed anche la cocaina. La morfina si inietta. Risulta che metà dei morfinomani sono medici, mogli di medici, infermieri, studenti di medicina, addirittura ostetriche.
L’eroina si inietta, si può anche inalare con un tubicino e mangiare; è tre volte più tossica della morfina ed è stata usata per la prima volta nel 1889.

La cocaina deriva dalle foglie di una pianta sudamericana, la coca appunto, utilizzata dagli indigeni per resistere alla fame, al freddo e alla sete. Queste sono le droghe “tremende” che a differenza dell’hascish creano dipendenza nel consumatore, hanno bisogno di terapia specifica soprattutto per la disintossicazione e sono molto costose, distruggono in modo veloce ed irreversibile l’organismo umano. I tossicomani, come gli alcolisti, si distinguono a prima vista. Invece i fumatori di hascish non sono facilmente riconoscibili. E ancora: l’alcool e l’eroina distruggono direttamente. L’hascish invece consuma in modo laterale, inaspettato, invisibile. Istupidisce, addormenta, porta al sonno dello spirito. In Grecia gli hassiklìdes segnalati sono circa duemila. Il restante dei tossicomani non supera i 500. I tossicomani maschi sono 20 volte più delle femmine. I tossicomani chiamano se stessi presàkides, presàkia. L’LSD non ha trovato seguaci.


Penso che i paragrafi 8, 9 e 10 presentino in modo conciso, il tema dell’hascish-droghe come lo ha visto uno scrittore diviso, contraddittorio. Oggi ritorno sullo stesso tema, restando lo stesso scisso. Nel frattempo le droghe si sono diffuse enormemente anche nel nostro paese. Ultimamente, T. Gricci-Milliex in una sua critica ha applaudito alla mia posizione sulle droghe. Non ha sospettato la mia scissione. Forse è stata influenzata dalla mia ultima frase del paragrafo 9: “ogni uomo sensibile e spirituale deve combattere contro gli hassiklìdes”. Tatiana deve sapere che questa frase non esisteva nel mio manoscritto, che l’ho aggiunta quando era ormai in tipografia. Quando stampavo, illegalmente nel 1968, il testo Rebètika Tragoùdia, ero veramente terrorizzato. Rileggo freddamente questa frase e mi pare una frase vergognosa e perciò eccezionalmente responsabile. Non cerco più di fuggire davanti alla contraddizione. Sarebbe inutile. Anzi penso che ogni antinomia prometta nuove idee.Oggi conosco qualcosa in più sull’hascish. Non condanno nessun hassiklìs, non spingo nessuno a smetter di fumare, non spingo neanche nessuno a farlo. L’hascish in quanto tale è più innocente di una caramella. Per questo io lo chiamo santo. E ancora lo chiamo così perché è dolce come il miele, più dolce del seno materno. Dalla sostanza si spande un tale piacere che è impossibile resistergli. Nello stesso tempo mi rendo conto di cosa ne seguirà e prevedo ciò che succederà con le droghe pesanti. Così continuo a tenere una posizione contraddittoria nei confronti del problema, morale e amorale insieme.



venerdì 15 novembre 2013

Evì Evàn....fuori luogo, ReBèTiKo

 


bevendo un bicchiere di vino
sentivo gli evì evàn
il rebetiko è una musica per viaggiatori
riconcilia a una doppia assenza
 con il luogo che hai lasciato e
con quello che devi ancora trovare,
sentendo gli evì evàn.




evievan2008@gmail.com
www.myspace.com/evievan
www.facebook.com/evievan.rebetiko
 

domenica 3 novembre 2013

glossario rebetiko

GLOSSARIO afioni: il papavero da oppio,per estensione, una sostanza narcotica, l'oppio, figurato, una cosa che snerva o che rende fanatica

akritikò: akritikà tragudia: canti demotici che narrano le gesta degli Akrites, le guardie di frontiera orientale dell'Impero bizantino . Gli akritikà tragudia sono i più antichi canti popolari greci conservati, spicca tra molti esempi la collezione
 in versi del XII sec, nota come "Epopea di Digenis Akritas" . 

akroama: il concerto, lo spettacolo che si fruisce soprattutto con l’udito, mentre lo spettacolo che usa soprattutto la vista è theama.


alani, pl. alania, anche alaniaris: il girovago, vagabondo, colui che vive senza pensare a niente, che vive sui desideri del momento, che passa da una situazione all’altra, che non riesce a rimanere in un lavoro o in una relazione.

aman-aman: esclamazione di implorazione di origine turca, pietà, ahimé, misericordia

amanès, pl. amanédes : improvisato assolo vocale tipico della scuola di Smirne;
 un particolare tipo di canzone, monodica, lunga e passionale  caratterizzata dalla ripetizione dell’ esclamazione turca Aman che significa misericordia, compassione.
Mentre l’amanès sembra che abbia un carattere musicale turco, molti validi orientalisti e critici musicali sostengono che, anche se coltivato dai Turchi e altri popoli d'Oriente, risente  l'autorità e l'influenza della musica bizantina e in particolare il suono chiamato "pesante", “greve”. Musicalmente, gli amanedes hanno il proprio stile con la voce alta, greve e profonda  che stira e prolunga in intensità e varietà i suoni delle parole, fornendo così passionalità  orientale alla canzone. All'inizio dell'amanès le parole sono divisi in suoni e sillabe , sviluppati in intensità e lunghezza e varietà di pronuncia in modo che un distico necessita di cinque minuti per essere cantato, per poi iniziare di nuovo, ripetendo lo stesso verso a un ritmo più veloce, accompagnato da altri cantanti in modo che  le parole del verso possano essere  compresi.
In Grecia si diffondono dal  1877, quando musicisti e parolieri iniziano a scrivere amanedes. La prima registrazione di amanedes avenne nel 1906 ad Atene, e circa lo stesso anno anche ad Istanbul .Va osservato che il 7 novembre 1934 il regime kemalista in Turchia ha vietato questo tipo di canzone in tutto il territorio turco per il fatto che si intreccia con i Greci e l'Impero Ottomano. Tre anni dopo il 1937 anche  il regime di Metaxàs, con una specifica disposizione vieta questo tipo di canzoni in tutto il territorio greco considerato come una sorta di pura musica turca! Cosi gli amanedes sono stati proibiti in entrambi i paesi.

arapiko: dai paesi arabi, di stile orientale, arapis: nero, arapien: di stile orientale

armatoloi e kleftes : Durante la dominazione ottomana della Grecia (1453-1821) i paesi e le città erano per lo più sottomessi mentre le montagne offrivano scomodi ma sicuri rifugi a quanti si opponevano al dominio straniero. Questi erano i kleftes ( in greco lett. "ladri" ), gruppi di greci resistenti datisi alla macchia, i quali ovviamente non avevano altra scelta se non una tattica di guerriglia e in molti casi di vera e propria razzia, ma che costituirono un disturbo costante per i dominatori. Per contrastare queste bande, furono costituite milizie composte anch'esse da greci, chiamati armatoloi, termine di chiara derivazione italiana da arma, armati. Si trattava spesso di ex capi kleftes, ai quali l'Impero Ottomano assegnava territori e forniva uomini e mezzi per contrastare i loro compagni di un tempo. In effetti, però, con il tempo questi due gruppi opposti finirono per collaborare, ed anzi insieme costituirono il nucleo dell'esercito rivoluzionario che nel 1821 diede inizio alla lunga e sanguinosa lotta di liberazione, terminata solo con il trattato di Adrianopoli (1829) e i protocolli di Londraco.

arvanites: popolazione di origine albanese i cui membri parlano Arvanitika , un ramo dialettale della lingua albanese . Provengono da popolazioni albanofone che si sono spostate soprattutto nella Grecia del sud e nella Grecia centrale, dal sud dell'Albania durante il Medioevo , in particolare tra i XIII e XVI sec a causa di conflitti sociopolitici del tempo. Gli arvanites hanno svolto un ruolo importante durante la Rivoluzione del 1821.

asikis: uomo con portamento fiero. Come aggettivo esprime uno dei migliori apprezzamenti e complimenti per un maghas. Dal turco asik:bardo popolare delle campagne che gira da paese a paese cantando ballate popolari e suonando il saz, "saz" è termine persiano e include tutti i tipi di liuto a collo lungo. 

ataktos: disordinato

an lahi: se capita

baglamas, pl. baglamades, baglamadaki pl. baglamadakia: strumento musicale simile al buzuki (ma di dimensioni più ridotte), utilizzato nella musica popolare greca. Di solito ha tre corde doppie. Il suono del baglama è acuto, perché ogni corda è accordata di un'ottava più alta di quella del buzuki. E’ uno strumento antico e piccolo, facilmente nascondibile soprattutto nelle carceri. Il baglama o è scavato o è fatto a doghe . La sua cassa può essere scavata da un unico pezzo di legno o da fogli di legno incollati tra loro in uno stampo. Il coperchio della cassa è sempre speciale perché il legno deve essere morbido. Diversi tipi di legno hanno la manica e la tastiera . La lunghezza del baglama è di circa 32 cm. Questo non significa che non ci sono baglama di diverse lunghezze . Il miglior legno per scavare la cassa è considerato il legno del gelso, mentre per il coperchio, il legno di abete. Inoltre nelle carceri si costruiva la cassa del baglama con mezza zucca scavata.

brussalidiko: hashish prodotto nella città turca di Brussa.

bucaro: irrompo, mi precipito

budrumi: prigione, dal turco Bodrum, prigione nei sotterranei di un edificio, per estensione, scuro e angusto spazio.

buluki : folla, dal turco Bölük, contingente di militari, non necessariamente irregolari. La parola in greco, ha assunto molti significati. Il denominatore comune è il concetto di folla, e in particolare folla disordinata. Ma ci sono differenze nell'uso della parola, spesso sottili. Così buluki può essere: Un gruppo di uomini armati irregolari - ladri e guerriglieri, ribelli, ecc significato molto vicino a quello turco. Una gilda, spesso, ma non necessariamente, in viaggio - ad esempio, gruppi di muratori in cerca di lavoro di villaggio in villaggio organizzati in bulukia guidati dal boulouktsis, una compagnia teatrale itinerante, letteralmente, un branco di animali, una folla indisciplinata, una folla rumorosa, una squadra che non ha un sistema di gioco o di governo.

busuksis, pl. busuksides: il suonatore di buzuki

buzuki, pl. buzukia, buzukaki pl.buzukakia: Il buzuki è uno strumento appartenente alla famiglia dei liuti a manico lungo, di lunghezza da 90 a 100 cm. Ha tre o quattro doppie (o anche singole) corde. Originariamente il buzuki aveva tre paia di corde di metallo in tonalità La-Re-Re, più tardi si aggiunge una  quarta coppia e la sintonizzazione divenne Do-Fa-La-Re. Una volta, fino agli anni trenta, la tonalità ( duzen ) cambiava a seconda della strada musicale ( makam ) della melodia.   Alcuni studiosi ritengono che deriva dalla tradizione musicale turca. Ma la maggior parte accetta l'origine turca solo del nome, büzük - anche se è probabile che la parola deriva dal persiano  tambur-e Bozorg  che significa “grande taburàs”, “grande liuto” convertendo-rg in "k" in greco e turco - e considerano invece la forma dello strumento una sorta di trasformazione dell’ antica Pandoura . Secondo questa visione, il buzuki, ha  la forma, le dimensioni e la disposizione delle corde, quasi le stesse da migliaia di anni. Passata dagli antichi Greci ai Bizantini,e poi ai Turchi e rifiorito negli ultimi 150 anni. Le variazioni di questo antico strumento sono state  parecchie negli anni della sua vita e aveva i nomi di Pandoura o pandourida, trichordon, , thamburà, tampùrin,  buzuki e molti altri con cui è stato chiamato, e altri di forme piccoli o più grandi della stessa famiglia di taburàs. In realtà erano solo piccole modifiche e varianti dello stesso strumento di base, il taburàs, della famiglia del liuto. Il musicologo e critico Febo Anogianakis descrive il percorso del taburàs e della storia del suo nome fino ad oggi. Nella storia moderna della musica greca, il buzuki, mentre era escluso dalle compagnie del dimotikò tragudi (clarinetto, violino, liuto, salterio) e del nissiotiko (delle isole, violino, liuto o violino-lira) con l’avvento del rebetiko, nella seconda metà del XIX sec. il buzuki ha iniziato a diffondersi per arrivare negli anni 1920-1935, ad essere lo strumento principe, con la costituzione della tipica compagnia del rebetiko (il formato consueto con due bouzouki, una chitarra e un baglama o varianti). Nel “Quartetto di Pireo”, del 1935 partecipavano Markos Vamvakaris , che suonava il buzuki e cantava, Pagioumtzis Stratos che  cantava prevalentemente, il Delios Anestis che suonava buzuki, chitarra e cantava, e Giorgos Batis che suonava baglama e cantava. Durante la storia del rebetiko il buzuki è stato perfezionato ed utilizzato dalle mani di grandi artisti, tra i quali Vamvakaris, Tsitsanis, Papaioannou, Chiotis, Mitsakis e molti altri. Il cambiamento più importante del buzuki è stato introdotto da Manolis Chiotis nel 1950, che ha iniziato ad usare il buzuki a quattro corde doppie, con tonalità moderne, sia nelle registrazioni dei dischi sia sul palco. Il buzuki a quattro corde doppie, essendo più polifonico, consente accordi sempre più ricchi e il numero più alto di corde facilita l'esecutore di suonare con più velocità sulla tastiera con le dita della mano sinistra.

chartura: le mance date ai musicisti, i soldi in carta.

chorofilakes: la polizia di campagna greca

cikrikoni: il tacchino

dais, pl. daithes: dal turco dayi (non si pronuncia la y) significa in turco lo zio, il fratello della madre. Il suo significato include quello di 'protettore', e 'promotore' di difesa (nella società dominata dagli uomini) delle donne. A questo significato, si rifà il termine kabadayi (la b è pronunciato come pi), che significava "grande fratello" inizialmente e, successivamente, quello che nella nostra lingua, abbiamo adottato come Ntais (kaba significa rozzo, grezzo, malfatto). Kapadais oggi viene chiamato il "leader" di bande locali, che controllano il quartiere e impongono il loro ordine e interessi, dal turco dayi, uomo audace e coraggioso, che non sopporta offese, spavaldo e prepotente, dal coltello facile, amante della libertà e autonomia. Sinonimo di rebetis, maghas. Vedi anche la voce kapadais. L'esistenza e l'azione dei daides può essere spiegata se si considera la condizione deprimente della vita delle persone nel XIX secolo. Perfetto abbandono da parte dello Stato, lo sfruttamento predatorio dei padroni, il disprezzo e 'l'indifferenza della società. I daides erano l’espressione contro questa oppressione, la componente militante della povera gente. Le ragioni che guidavano le azioni dei daides apparivano sospette, inspiegabili e criminali. Agli occhi del mondo borghese, ogni atto dei daides sembrava malvagio, rapina, crimine e reato. Il potere e la società gli considerava degli anarchici. Ma i veri daides da sempre erano sinonimo di fiducia in se stessi e convinzione sulla giustizia di ogni loro atto. E per ogni dais la galera era un vanto e veniva considerata come scuola di vita. Il dailiki, il comportamento spavaldo del dais, era un'istituzione che operava sui margini della società e alle spalle dell’autorità. Un contromondo creato dai daides. Un gruppo di persone disobbediendi alle esigenze della società e le leggi dello Stato. Strutturato spontaneamente e 'disorganizzato in una sorta di segreta fratellanza, il dailiki era senza statuto e senza sede. Avevano le loro regole non scritte, che guidavano la loro vita e organizzavano le loro azioni. Stampate nell'anima e nella loro coscienza. Queste regole si fondavano in un senso di smisurata libertà della loro vita che gli spingeva ad azioni spavalde, senza il senso del pericolo. Il dais vuole godersi la vita ma nel autodeterminazione, l’orgoglio e la libertà. I daides preferivano fare i loro affari nella periferia. Quartieri e parrocchie periferiche della grande città, luoghi adatti per le loro attività illegali, dove potevano nascondersi o fuggire. I lavori che facevano i daides, lavori apparenti, per gli occhi della gente, erano insignificanti e comuni. Quelli che stavano meglio avevano un caffè o un osteria, che portavano avanti i loro sottoposti. Alcuni erano membri influenti della Tulumba, l’ organizzazione dei pompieri di Istanbul, come kapadais. Alcuni avevano un pezzo di terra in un villaggio vicino alla città. Ma la professione più redditizia e più bella per un dais era il traffico, preferibilmente di hashish, oppio, tubeki e tabacco.

dalkas: dolore pesante derivante dalla frustrazione di un desiderio.

damira: è l’hascish nell’argot dei kaliardà.

dauli: strumento a percussione nella musica tradizionale dal suono molto potente. Si suona con due bastoni, uno spesso e uno sottile, che colpiscono le due parti in pelle. Si usa molto nella musica della Macedonia e Tracia in combinazione con due cornamuse.

dendrolivano: il rosmarino

derbenderisa, masch. derbenderis: il disordinato, l’instabile, colui che di qua e di là. Dal turco derbeder che ha lo stesso significato.

difillo, trifillo, tetrafillo: lo spinello fatto da due, tre, o quattro cartine.

divani: il divano, viene dal termine arabo di origine persiana diwan, con cui s'indicavano i registri amministrativi, conservati un un apposito locale dove gli scribi lavoravano seduti su cuscini. Dai registri il termine passò a designare l'ambiente e, in modo traslato, l'insieme dei cuscini su cui si sedevano gli addetti alla scrittura. Già in epoca califfale il vocabolo era utile a designare le amministrazioni dello Stato e la cosa sopravvisse anche nell'Impero Ottomano, in cui con esso ci si riferiva al Consiglio dei ministri.Non troppo diversamente successe col vocabolo "sofà", derivante dall'arabo suffa, che vuol dire "cuscino".Il termine originario fu francesizzato in divan per indicare una lunga panchetta con fiancate o braccioli.

drami pl. dramia: unità di peso diffusa in tutto l’impero ottomano, utilizzata in Grecia fino al 1959. Un drami in Grecia è pari a 3,203 grammi . 400 dramia equivalgono a un okà . La parola deriva dal arabo Dirham (o dirham), che a sua volta deriva dall'antica dracma .

dumani, pl. dumania: un luogo chiuso che è pieno di fumo, dovuto alla presenza di molti fumatori.

dumanakias: chi frequenta un tekès senza essere coinvolto direttamente, senza fumare ma sballa dal denso fumo degli altri. Non fuma o perché non ha soldi, o perché non riesce a superare l’inibizione del divieto di usare le droghe;

dumanotripa: un piccolo buco nella parte superiore del narghilè che mentre si fuma viene chiuso con il dito in modo tale da equilibrare le pressioni.

duzeni: termine che significa i diversi modi di accordatura di un strumento musicale. Deriva dalla parola turca "dyzen", che significa "ordine", "armonia". Metaforicamente significa divertimento, buon umore, eccitazione. Nella terminologia musicale, soprattutto per quel che riguarda il buzuki, significa accordature differenti, non solo la classica "Re-La-Re", ma anche altre come come il "karaduzeni" (Sol-La-Re), l" arapien ",il"pireotiko", l’" anihtò”(La-Mi-La), ecc.

fara
nell’argot significa la “piazza”, la classe del sottoproletariato criminale e non. Forma di organizzazione sociale degli arvanites, albanesi, basata sulla provenienza famigliare(simile alla dinastia). Gli albanesi sono stati organizzati in clan famigliari, in particolare durante la dominazione ottomana. Al vertice della gerarchia c’è un capo della fara che da il suo nome ad essa. Nei paesi degli arvanites ogni fara ha dovuto tenere un registro genealogico, molti dei quali si sono salvati come documenti storici nelle biblioteche locali. Di solito ci sono diverse fare in un villaggio e, talvolta organizzate in fratrie con interessi contrastanti. Questi fratrie non sono durate a lungo, perché ogni capo fara vuole essere leader della fazione e non era disposto a prendere ordini da un altro.

filakì: prigione, carcere

fitili: miccia

fissarufa: termine composto dai verbi, fissao: soffio e rufao: succhiare, denota il movimento del respiro nel fumere il narghilè o lo spinello.


fos: luce

fundal’erba, la marijuana.

furfuri: la parte superiore dello spinello, che una volta rollato viene chiusa con cura e poi bruciata perché è solo carta.

ghiaur, ghiauris: dal turco gâvur, preso in prestito dal persiano gabr adoratore del fuoco, è una denominazione dispregiativa, rivolta agli infedeli cristiani dagli Ottomani. Indica odio contro i cristiani.

ghistani: il carcere, cella dei sotterranei senza luce.

kapadais, pl kapadaithes: figura del sottoproletariato di Istanbul tra la seconda metà del XIX sec e la prima meta del XX sec. Nella prima metà del XIX sec. l'equivalente di rebetis era il kulhanbey, Il principe del ipocausto. Ipocausto è il piano seminterrato del Hamam, dove c’è il fuoco per riscaldare l’acqua e gli ambienti del hamam. Si trattava di persone senza fissa dimora che passavano la notte negli ipocausti, al caldo. Erano una sorta di confraternità nella città; per essere ammessi bisognava essere orfani e dimostrare le proprie abilità nel rubare. Un po’ piccolo ladro, un po’ mendicante, il kulhanbey svolgeva lavori occasionali, e tra le loro presunte regole c’era una sorta di "solidarietà di classe" con le donne povere e i facchini. Gradualmente si sono evoluti: cominciarono a vendere protezione e praticare l’estorsione ai negozianti, a rapinare di notte i passanti finchè la polizia nel 1846 arresta circa settecento kulhanbey, la maggior parte dei quali sono stati obbligati ad arruolarsi nel'esercito . Al kulhanbey successe il Kapadais, che spesso ha lavorato come vigile del fuoco (touloumpatzis), lavoro fatto in precedenza dai giannizzeri. Ogni quartiere aveva il suo Kapadais, che spesso era protetto da un potente della città che aveva a sua volta, il ruolo di protettore della pubblica moralità.. Avevano il loro codice d'onore, facevano da arbitro nelle dispute del quartiere, e come la malavita greca, a volte collaboravano con i politici e pascià e vendevano protezione. Il Kapadais era un equivalente esatto della Fara o del rebetis tra le due guerre e frequentava i Shemai kachveleri o "caffè con la musica”, dove ascoltava gli Amanedes e i canti epici (destàn) di colleghi famosi. I loro nomi erano leggendari già tra le due guerre mondiali, quando qualche studioso del folclore ha registrato le loro biografie. Ecco come sono stati descritti alcuni nel 1937: “Il Balatli Tsarktsi Etchem tiene un caffè al Balàt. Il Erzintzanli Airantzi Hamdi scrive domande e costruisce timbri sulla Egioup. Il Balatli Mousevi Nesim fa il venditore itinerante di noccioline al Balàt”. Sono molto interessanti i canti epici o destàn, che di solito raccontano di un omicidio (quasi sempre nella canzone parla l’ucciso), a volte di un incidente sul lavoro (ancora una volta parla l’ucciso), di una prigione, della sofferenza di un soldato ottomano nel deserto dello Yemen, o eventi come incendi e terremoti.

karsilamas: tipo di danza popolare, metaforicamente è un tipo di truffa con destrezza. (Il ladro incontra frettolosamente la vittima, fa finta di perdere il passo una volta verso sinistra e una volta verso destra cercando di far coincidere i suoi movimenti con quelli della vittima mentre il complice del ladro approfitta per svuotare le tasche della vittima.) Il Karsilamas è un ballo casto ma allo stesso tempo erotico, ballato in coppia frontale. Questo significa anche il suo nome (karşılama in turco), poiché "Karsi" significa opposto, contrario. L'origine del karsilamas è dalle coste del Asia Minore. Si è diffuso in Tracia attraverso Costantinopoli e divenne il mezzo di espressione e di intrattenimento per tutti i rifugiati del 1922. La limitazione dello spazio, la semplicità del movimento, la libertà per il numero e i tipi dei strumenti musicali richiesti, la libertà di comunicare, hanno fatto del karsilamas una danza molto amata. Ha dominato e continua a essere molto ballato nelle feste. Ci sono karsilamades lenti e altri veloci. Il tempo è di 9 / 8 e si balla in quattro passi, in tempo 2,2,2,3 (oppure veloce,veloce, veloce, lento). Lo stile e la disposizione variano da regione a regione. E’ un ballo di coppia in posizione frontale, con le mani a livello degli occhi e si muove come in uno specchio: quando uno va fuori, l'altro va fuori, quando uno viene verso l'interno, l'altro viene verso l’interno. Lo stesso accade con i movimenti circolari e le giravolte.Oltre che in Asia Minore e la Tracia, il karsilamas è ballato in tutta la Grecia ma soprattutto nel isola di Lesvos. Lì si incontra una variante col nome kamilieriko probabilmente perché il danzatore imita l'andatura ondeggiante del cammello. In particolare, il kamilieriko quando viene ballato in coppia è considerato come appartenente al gruppo dei karsilamades, e quando viene ballato da una persona sola appartenente allo zeibekiko. Il karsilamas è ballato oggi, dalla Persia fino alla Serbia, in Grecia soprattutto in Macedonia e Tracia.

kiulabeis: dal turco kulhanbey, nella prima metà del XIX sec. l'equivalente di rebetis era il kulhanbey, Il principe del ipocausto. Ipocausto è il piano seminterrato del Hamam, dove c’è il fuoco per riscaldare l’acqua e gli ambienti del hamam. Si trattava di persone senza fissa dimora che passavano la notte negli ipocausti, al caldo. Erano una sorta di confraternità nella città; per essere ammessi bisognava essere orfani e dimostrare le proprie abilità nel rubare. Un po’ piccolo ladro, un po’ mendicante, il kulhanbey svolgeva lavori occasionali, e tra le loro presunte regole c’era una sorta di "solidarietà di classe" con le donne povere e i facchini. Gradualmente si sono evoluti: cominciarono a vendere protezione e praticare l’estorsione ai negozianti, a rapinare di notte i passanti finchè la polizia nel 1846 arresta circa settecento kulhanbey, la maggior parte dei quali sono stati obbligati ad arruolarsi nel'esercito . Al kulhanbey successe il Kapadais.

koboloi: è una specie di rosario composto da perle di osso , ambra , vetro , legno , ecc, forate al centro e passate a un filo le cui estremità sono uniti da un nodo , che vengono mosse lentamente una dopo l'altra; passatempo maschile che risale a epoche precedenti. Viene chiamato anche begleri nel argot del maghas. Nella chiesa latina, un simile oggetto che funge da oggetto ausiliario di preghiera è il rosario ", dalla parola Rozus = nodo, e nella chiesa ortodossa l’equivalente al rosario si dice komboschini, kombos:nodo, schini:corda ". Il koboloi è popolare anche in Turchia e il Medio Oriente. In Turchia viene chiamato tespich. Oggi in grecia viene spesso chiamato efchantro. La parola "Efchantro", denota il processo di secolarizzazione del koboloi che da strumento della preghiera per purificare la mente e il cuore dalle passioni umane, si trasforma in un gioiello e simbolo di prestigio sociale, distante dalla percezione negativa del passato che lo vedeva come simbolo del rebetis, del fannullone e del criminale. Molti rebetika hanno cantato il koboloi e in molte registrazioni di dischi si sente il suono del koboloi nello sfondo.

kubura,kuburi: dal turco kubur, pistola

leventis : coraggioso dal turco levend che significa uomo bello e forte, termine che in greco ha i seguenti significati: l’uomo virile, corpulento, soprattutto il giovane bello e prestante 2. corragioso, colui che osa 3. Lo schietto, che ha carattere dritto, magnanimo e signorile.

madinada, pl. madinades: poesia composta da due versi di quindici sillabe, di solito in rima o quattro semiversi non necessariamente in rima. E’ una spontanea espressione popolare in varie parti della Grecia, ma soprattutto è un caratteristico modo di cantare nel isola greca di Creta , che è famosa per i distici che riflettono i sentimenti, i pensieri e la vita del popolo cretese. Ci sono i distici beffardi, erotici, filosofici e del occasione.

magha, maghatzis: era un gruppo o unità di un esercito irregolare durante la rivoluzione greca contro l’impero Ottomano del 1821 . Il termine si presume che è di origine albanese, col significato di gruppo armato col numero di appartenenti imprecisato. Durante l’impero ottomano la magha albanese era un corpo di uomini armati che non erano membri di una famiglia, come era la fara. La magha era diffusa in tutto l'Impero Ottomano. Così le forze che hanno promosso l’insurrezione del 1821, si sono organizzate in base alla magha, come unità minore delle armate messe in campo. Due o tre maghes, facevano un buluki. Il leader di ogni magha era il "maghatzis" ed era un sottufficiale mentre il capo di ogni buluki era chiamato Buluktsis ed era considerato un ufficiale. Molti di questi bulukia facevano un armata del Kapetanato con leader il Kapetano. In ogni magha c’erano uno o due ragazzi che erano responsabili per la logistica, anche in battaglia si occupavano del rifornimento di materiali e cibo, di impastare il pane, e di altri limitati compiti.

maghas, pl. maghes : figura e tipo sociale del periodo prebellico, forma stilizzata del mondo del rebetiko e era un uomo degli strati popolari urbani, caratterizzato da eccessiva fiducia in se stesso e dall’arroganza, e dall'aspetto e comportamento speciale. Abitualmente il maghas aveva un paio di baffi lunghi, scarpe a punta rialzata, pantaloni a righe e il koboloi. Portavano a mò di cintura una fascia dove nascondevano piccole armi, coltello o pistola. Camminavano con un modo particolare, quasi zoppicassero, indossando solo una manica della giacca. I maghes sono apparsi come kutsavakides intorno al 1870 e al 1892 , l’allora direttore della polizia Bairaktaris li cacciò senza pietà. Oltre alla pena detentiva e il taglio dei capelli , ordinava a tagliare a metà i baffi, costringendoli a radere l'altra metà - un insulto mortale per i maghes del periodo. Tagliava inoltre le punte delle scarpe e la manica della giaca che pendeva. Più tardi, dopo la prima guerra mondiale, il tipo del maghas ha avuto una nuova rinascita, questa volta legata alla cultura del rebetiko che ha dedicato diverse canzoni alla descrizione e alle abitudini del maghas. Maghià l’azione del maghas, maghitis, maghitissa, maghopeda: maghes giovani, mahalomaghas: il maghas del quartiere, kuradomaghas: il maghas di merda, choriatomaghas: il maghas del paese di campagna, Gerontomaghas: il vecchio maghas, vlahomaghas: il maghas delle montagne, skilomaghes:il maghas duro

maggiori, maghioros: capace, abile, che riesce in qualcosa in modo da provocare ammirazione, buon diavolo,sinonimo di tsiftis . La parola deriva dal italiano, maggiore o dal inglese major.Lo incontriamo anche al femminile maghiora o maghiorissa.

mahmurika, da mahmuris: dal turco Mahmur, appena svegliato, senza voglia, che non ha fumato ancora.

maniates: gli abitanti della regione di Mani nel sud Pelopeneso, nella penisola del Monte Taighetos. La penisola sterile e la sua connessione storica con l’antica Sparta, da ai maniates un carattere intransigente, una morale rigorosa, tradizioni dure basate sulla libertà, il sacrificio e l’onestà, il coraggio morale, l'orgoglio e il patriottismo. Dimostrano un grande rispetto per la tradizione, la famiglia e i morti, l’appartenenza alla loro terra e rivendicano con orgoglio che non sono mai stati schiavi di stranieri e hanno sempre vissuto liberi. Praticano la vendetta con l’accettazione della tregua. La prima posizione nella gerarchia della famiglia l’aveva il padre, o in caso di morte, il figlio maggiore. Le donne non avevano diritti ereditari ne altri diritti. Il divorzio era parola sconosciuta. Gli uomini erano costantemente impegnati o nelle guerre tra famiglie diverse o in guerre contro nemici esterni.


mapas: il narghilè

markutsi pl.-a: il tubo del narghilè da dove si ispira il fumo.

marghiola,marghiolissa, marghioliko: graziosa, seduttrice, ammaliante.

mavri, mavro: nero, l’hascish

meraklis,pl. meraklides : chi ha meraki per una cosa: colui che ha la curiosità, la pazienza e l’interesse per la conoscenza e la sensazione dei rapporti e relazioni tra cose, persone, e fenomeni. Dal turco merakli: il curioso, il ricercatore. Filosofi della civiltà del suk, del mercato e della piazza. Ricerca e stile nel arte di vivere.

metavassi: passaggio

mezè: stuzzichino che accompagna l’ouzo.

miconio ipnofora: il papavero d’oppio

mortis, pl. mortithes:dal italiano morte, il briccone, il birbante, l'uomo della strada che vive in modo disonesto o sospetto, il maghas che non ha paura della morte.Il termine nel 800 indica chi in periodo di peste e di epidemie raccoglie i cadaveri dei morti. E’ da questa vicinanza con la morte che vengono chiamati mortis e mortides.

hartziliki: la paghetta, la mancia.


Outi: dal arabo al oud,  l’outi è uno strumento musicale a corda, originario della Persia ed è abbastanza diffuso nella musica del Medio Oriente , ma anche nella musica popolare greca. E’ simile al liuto. Lo strumento persiano chiamato Barpat (oud) somigliava al oud egiziano suonato all'età dei faraoni 3500 anni fa. Gli arabi hanno preso il modo di suonare l'outi da parte dei Persiani. Questo strumento in seguito è stato nominato dagli Arabi oud che significa legno, legno sottile. Da lì, l'oud ha ottenuto il suo nome definitivo.

palikari: ragazzo coraggioso, l'uomo che di fronte a un difficile momento, minaccia o pericolo, non ha paura, ma mostra una grande forza mentale e morale , con un alto senso della dignità personale, il guerriero coraggioso, un adolescente o giovane che è nel fiore della sua età.

panighiri: la festa di campagna dove si suona la musica dimotikà.

patari: soppalco


philotimos,-i,-o: che ha il senso del onore

potirato: modo di fumare l’hascish, utilizzando un bicchiere (p
otiri) d’acqua e una pipa.

presa, presaki, pl. presakia, presakides,prezonia: l’eroina e l’eroinomane

priovolo: meccanismo di accensione prima del invenzione del accendino.

psilos: la caccola di hascish

psirù : la prigione

retsina: tipico vino bianco greco che si ottiene mettendo a fermentare insieme al vino anche la resina di pino.

salvari: tipo di pantaloni orientali.

santuri: dal turco santur, in italiano salterio, strumento musicale a forma di  trapezio isoscele, ha corde di metallo, lungo i due lati paralleli. E 'montato su una base  sopra le ginocchia del musicista. Spesso è appeso sulle spalle quando la festa è itinerante.. Si suona con due bacchette che hanno le estremità avvolte in cotone o in pelle. Le bacchette, con la punta rivolta leggermente verso l'alto, si tengono tra il dito indice e medio, con il pollice. Il nome deriva probabilmente dal psaltirio strumento bizantino, e nel corso dei secoli venne chiamato salterio,  santir. Secondo un'altra versione, il nome deriva dalla parola persiana santar che significa cento corde

sazi: strumento a corde della famiglia del liuto o del taburas. Ha un manico più lungo del buzuki. Di origine persiana si è molto diffuso nella musica turca.

seri: parte del narghilè

sidera: i ferri, la prigione

sirtò: ballo greco, detto strascicato.

stenì: la prigione, la stretta

strugu: la prigione

tsigariliki, pl. tsigarilikia (monofila, difila, trifila, polifila): lo spinello, con una, due, tre o oltre cartine

taburas: strumento musicale appartenente alla famiglia dei liuti.
taksimia: gli assoli del buzuki
thanasis: il narghilè

theriaklis: l’uomo che ha varie manie, il fumatore accanito, dal turco teriakli che significa fumatore di oppio e di narghilè. Theriakliki è la mania di usare vari tipi di tabacco e erbe.
vlamis, pl.vlamides : dal albanese vlum o Vellam, significa compagno, amico, fratello acquisito, amante, maghas e kutsavakis. Si diventa fratelli acquisiti, creando legami di amicizia tra due o più persone con un rito di tipo religioso. Dopo il rito queste persone hanno il sacro obbligo di aiutare un l'altro tutta la vita. Il loro legame non ha limiti.. Se uno di loro muore assassinato l’altro è obbligato a ricambiare il male, per vendicare il sangue del vlamis.

ypocosmos: mondo sotterraneo, l’underground, la “malavita”.

martedì 1 ottobre 2013

Elias Petropulos, Rebetiko, vita, musica e danza tra carcere e fumi dell'hashish



Elias Petropulos: REBETIKO. Vita, musica, danza tra carcere e fumi dell’hashish.
Pagine 128, ill., Euro 11,00

 In queste pagine si raccontano i personaggi, i comportamenti, le cose della vita dei rebetes e del rebetiko, la musica che li accompagna con i suoi ritmi e il suo stile di vita. Una musica che ispira a danze solitarie in luoghi di marginalità, locali equivoci, carceri, là dove il carcere rappresenta l’unica vera scuola di questa musica. Una musica intrecciata a quella di una sostanza, l’hashish e di coloro che la consumano, gli hassiklides con
«quella loro dolcezza e tranquillità tipica che troverò mille altre volte in vita mia, anche se loro sono più interessanti degli ubriaconi e infinitamente più belli dei piccolo-borghesi». Quegli uomini a cui l’hashish «regala rilassatezza, sogni dolci, la desiderata tranquillità che scaccia i pensieri neri».

Questo libro consente anche un bell’incontro: quello con Petropulos, l’uomo che osserva e penetra il Senso della Vita. L‘“antropologo urbano” – come si definiva – che fa una scelta di parte. Studia all’Università della strada. Viene incarcerato. Non si annovera tra gli hassiklides, non è un malavitoso ma sta dalla loro parte, dalla parte di quella umanità “comune” dove vede annidarsi – ed esprimersi - il senso della vita, perfettamente consapevole che non c’è un modo rebetiko di pensare, c’è un modo rebetiko di vivere.

sabato 28 luglio 2012

Zeibekiko, chassapiko, tsifteteli

Testo di Ilias Petropoulos, tratto e tradotto dal libro Rebetika tragoudia, prima edizione del 1968, Atene.



Sulla danza greca in generale
Nel 1834 Nezer(1) ha partecipato ad una festa, dove sono state ballate molte danze greche, anche di Smirne. Il tsamikos è stato il più importante ballo della Grecia. In Grecia, a quel tempo, si ballava il kalamatianòs (cit­tà di Kalamata nel Pelepponneso) e ogni area aveva i suoi balli locali. In Macedonia il sirtòs (strascicato), la gherakina, il pidihtos, il pàrtalo, la gaida, la vlaha, il tranòs ecc.Nel Peloponneso il mèrmigas, il maniàtikos, il tsakònikos. Così anche la Tessaglia, l’Epiro, Creta e le isole hanno le loro danze.

Vari e particolari sono i ritmi delle danze nazionali. Il ballo più facile è il sirtos in 2/4. Ci sono molte varietà di sirtòs e molti altri con ritmo di 2/4 come il menùssis, la tràta di Megara, il piliorìtikos, la svarniàra, la hòra, la sirba e la rumàna (portata dai commercianti dell’Epiro dai loro viaggi in Romania). Il  sirtòs di Rodi è in 7/8 come anche quello di Tzumerka, la gherakìna e il kalamatianòs.
Il tsàmikos è in 3/8 ma ballerini iniziati ballano una versione di tsamikos in 3⁄4, un passo grande che dura 2/4 e uno piccolo in 1⁄4. Con lo stesso tempo, 3⁄4 ballano il fissùni, mentre il mèrmighas si balla in 2/4. In questi balli il ritmo viene dato dal daùli, una sorta di grancassa. Mentre nei rebetika il ritmo viene dato dal baglama e dalla chitarra.
Ci sono balli cantati e balli semplici. Il ritmo 7/8 (si scompone in 3+2+2) è un ritmo usato dagli Slavi e dagli Ungheresi. I balli dimotikà  sono espressioni specifiche degli usi e costumi popolari delle campagne. Nei matrimoni e nelle sagre, canzoni col contenuto specifico, con forme di danza particolari, venivano ballati in gruppo, con corifeo il migliore ballerino del paese. Un rebetis balla per tre minuti perché tanto dura la canzone. I balli dimotikà duravano 5-20 minuti. I rebetika si ballavano in piccoli spazi, con movimenti sottili, perché osservati da vicino. Mentre i balli dimotika, erano balli collettivi. Nei rebetika la danza è un recital individuale.
I dimotikà sono pieni di gioia mentre i  ballo rebetiko assomiglia a un vortice di disperazione. Le facce sono preoccupate, e leggermente aggressive, mentre i dimotikà si ballavano con semplicità e qualche volta con il sorriso.
Un autentico maghas si riconosce anche dalle scarpe. Batte la terra mentre balla. Esistono due danze prin­cipali nei rebetika: il chassapikos e il zeibekiko. Il Tsifteteli (una sorta di “danza del ventre”) è una danza gioiosa e viene ballato principalmente dalle donne.
I rebetes si alzano per entrare nel ballo in un modo molto particolare. Il zeibekikos e il chassapikos sono balli per persone timide e ombrose. I dimotikà sono balli “prestanti” mentre i rebetika hanno sottigliezza e si ballano con i piedi e le mani, con tutto il corpo, con le dita, con piccole inclinazioni, con occhi abbassati e battute dei piedi, Quelli che ballavano i dimotikà portavano grosse divise, pesanti e abbondanti. Mentre i maghes ballano in camicia e pantaloni stretti e senza cintura, il dimotikos era salto e volo. I rebetes mentre ballano guardano la terra, battono con i piedi per terra. Nei balli popolari di gruppo predomina il movimento circolare e palindromico. Il ballo rebetiko è avanti-indietro, battito, giravolta attorno a se stesso, anadiplossi, tor­sione elicoidale, piegamenti. I canti rebetika sono zeibekika e chassapika (metà e metà). I profughi dell’Asia Minore ballavano sirtos, tsifteteli, karsilamas, zeibekiko. A Chiutachia (Kütahya città della Turchia), a carnevale, andavano in giro con violini, clarinetti, outi, chitarre, mandolini e buzukia, di casa in casa ballando zeibekiko. Anche se i dimotikà  sono dei balli di paesi e delle campagne, i compositori di rebetika hanno composto molti balli, sirtos e kalamatianos, dove i versi hanno per tema la città, urbani e non di campagna. I dervisci ottomani, di certi ordini, quando ballavano usavano colpirsi con coltelli o mangiare e deglutire vetri.


 Il Zeibekiko

Sul zeibekiko, troviamo riferimento, nello scrittore ottomano Evlià Celebi(2). Il zeibekiko facilmente si associa al Tsàmikos. Sotto il termine zeibekiko si nasconde una serie di balli simili. I 9/8 del zei­bekiko si analizzano in 2/8+2/8+2/8+3/8, e questo presenta una certa somiglianza con l’analisi rovesciata del kalamatianòs che è 3/8+2/8+2/8. Il zeibekiko turco si balla in gruppo. Famoso è il zeibek-ozunù. Il zei­bekiko cipriota lo ballano le donne. Chi ascolta distingue molte specie di chassapikos e vede il ballo sempre uguale in quanto codificato, mentre lo spettatore, chi vede, distingue molti modi di ballare il zeibekiko, in quanto ballo individuale e sempre differente. 


Per il zeibekiko bastano 4 m2 di pavimento stabile e piano. Il zeibekiko non si balla mai sulla terra nuda, e raramente si balla all’aperto o finchè c’è ancora il sole. Il zeibekiko non ha passi perché è un ballo personale e autodisegnato. Quindi ognuno balla il suo particolare, specifico e personale zeibekiko. I compositori popolari hanno scritto zeibekika veloci e lenti. Ci sono quelli veloci e saltellanti adatti ai gio­vani, che attraversano, camminando velocemente, la pista.
I maghes preferiscono lo iurukiko (il zeibekiko pesante), che ballano con gravità, quasi immobili. Famo­se, dal punto di vista del ballo, sono le canzoni Sarkavliàs, Dikopo maheri e Alibabàs. Famosi per la loro precisione cronometrica, sono i zeibekika di Marcos Vamvakaris. Non è il ritmo che distingue uno zeibekiko dall’altro, ma lo stile. Il zeibekiko si balla secondo il peso e l’età del ballerino.

Siccome il zeibekiko non ha passi codificati, le figure acquistano un valore fondamentale. Il zeibekiko illumina chi balla, lo fa bello come un dio minore. Si balla, appena appena, con i piedi e le mani. Il ballerino, dritto, asciutto, col pantalone basso sulle natiche, fa una serie di meravigliosi “passi” come un albero scrollato. Con facilità si assegnano le figure. Il ballerino si abbassa, fa una giravolta su un piede, finge di cadere, si alza, sempre per finta perde il ritmo e lo ritrova, si spinge verso l’alto, accarezza il pavimento, si inginocchia, batte col palmo i talloni, fa l’ubriaco.
Impossibile che il maghas balli senza voglia o senza aver bevuto. E quando, mentre balla, gli cadono dalle tasche le sue cose, impossibile che si chini per raccoglierle. Mentre balla, ha la sigaretta sulle labbra, ga­rofano all’orecchio e gli occhi nuvolosi. Non dimentichiamo che, fino a qualche decennio fa, si ballava il zeibekiko con i coltelli in mano. Una delle figure più spettacolari del zeibekiko è quando il ballerino balla, tenendo con i denti il tavolo e alzandolo tutto con piatti e bicchieri. I vecchi zeibekika erano taglienti e mar­cati. Ogni ballerino ha le sue figure, inclinazioni, curve, saltelli e giravolte.
Il zeibekiko si balla con le mani e le braccia tese come in preghiera o invocazione.


Il chassapikos (il ballo dei macellai)

Il chassapikos ha passi codificati mentre il zeibekikos no. Ci sono due tipi di chassapikos: il chassapikos e il chassaposervikos. Il secondo si balla due volte più veloce del primo. Alexandros Delmuzos(3), in un articolo del 1911 si riferisce al chassapikos. E’ impossibile stabilire se e quale rapporto c’è tra il chassapikos e il ballo bizantino dei macellai. Il chassapikos e il zeibekikos sono i due balli dei rebetes. Molti anni fa ballavano il chassapikos portando la coppola, leggermente tirata al insù. C’è un chassapikos dell’isola di Sifnos nelle Cicladi. Fanno parte del chassaposervikos i balli allegra, sèrvika e le chores della Rumania.

La raccolta dei balli greci di G. Labelet(4)  inizia col chassapikos. La sua origine forse è di Kostantinopoli. Il zeibekikos è di Smirne mentre il chassaposervikos è di origine slava. Il chassaposervikos con salti vira verso il ballo Cazaska. Il chassapikos ha un ritmo di 2/4. Certi chassapikos molto lenti ricordano le serenate e come serenate sono stati usati dai rebetes. Il chassapikos si balla da due o tre ballerini che con le loro mani si tengono dalle spalle. Non esiste un primo ballerino. I passi sono quattro a terra e uno in aria. I ballerini sono di solito amici stretti, vlamides, dal momento che il ballo richiede sincronismo assoluto e movimenti identici. Se il zeibekikos è il ballo dell’assoluta libertà il chassapikos è il ballo della assoluta precisione. I ballerini che vogliono far mostra della loro bravura ballano due volte più veloci del ritmo della musica e ballano sui tacchi delle scarpe. I balli demotikà in cerchi ampi e con i grandi salti sono balli al aperto; un vlachikos chassapikos, con influenze serbe si balla a Syrrako, in Epiro. E’ un ballo prestante che vuole i ballerini orgogliosi, con il corpo teso, che battono i piedi per terra con forza saltando in avanti e indietro, tenendosi ognuno dalla spalla del altro come nel Tsamikos.


Il modo di camminare è cambiato negli ultimi cento anni. L’uomo di città cammina senza grazia e piegato. Il modo di camminare è molto importante poiché il ballo non è altro che una camminata figurata. Spesso i ballerini del rebetiko esprimono cosi bene il loro mondo e i loro desideri che giustamente possono essere considerati degli artisti sconosciuti. Durante l’Impero Ottomano ballavano il chassapikos i gianitseri e i arnautides (sono i arvanites-albanesi in turco), per questo il chassapikos veniva chiamato anche arnautikos. Si sa che in quei tempi, i arnautides di Salonicco e Istanbul facevano per lo più i macellai.



Il Tsifteteli

Di tutti i balli rebetici solo nel Tsifteteli si sorride. Il zeibekikos è un ballo minaccioso dal momento che inizialmente veniva ballato da guerrieri. Il chassaposervikos ha una sua grazia e ritmo. Il tsifteteli vuole un gioioso movimento del petto e del bacino e dei glutei. Le donne con i seni abbondanti e tremuli, le cosce forti e i sorrisi dolci ballano il tsifteteli con molta più grazia e bellezza degli uomini. Certe volte il tsifteteli si balla sul tavolo pieno di piati e bicchieri (e allora è la apoteosi del corpo femminile) cosi la ballerina non può fare dei passi ma solo piegare e muovere il suo corpo mentre i suoi amici di sotto le battono le mani. Tsifteteli significa “doppia corda”, tsifté: doppia, teli:corda.

 
(1) Christopher Nezer ( 1808 - 1883 ) è stato un ufficiale bavarese col grado di tenente. Nel 1833 arrivò in Grecia con il seguito del primo re di grecia il bavarese Ottone . A metà marzo di quell'anno, fu nominato comandante del Atene. Nezer è stato il primo comandante della città. Il 1 aprile del 1833 ha ricevuto, insieme con il colonnello bavarese Paligkan, la consegna dell’ Acropoli dal  governatore turco di Atene, Osman Efendi. Ha scritto un libro di memorie intitolato I primi anni della costituzione del Regno greco .


(2)Evliya Celebi (1611 – 1684) è stato uno scrittore ottomano, considerato uno degli scrittori emergenti della letteratura turca non tradizionale del XVII secolo. La sua vita si svolge sotto il regno di Murad IV (1623-1640), Ibrahim I (1640-1648) e Mehemed IV (1648-1687). Dopo i trent'anni, nominato aiutante di Malek Ahmed Pascià, che sarebbe diventato gran visir, ebbe modo di viaggiare costantemente sia all'interno dell'impero ottomano che in alcuni paesi stranieri. Scrisse pertanto una relazione in dieci volumi, intitolata Seyahatname (Il libro dei viaggi), considerato ai suoi tempi letteratura d'intrattenimento. Sebbene in alcuni casi sia ricorso all'immaginazione, la sua descrizione di Istanbul, che costituisce il primo tomo della Seyahatname, costituisce una fonte di prim'ordine per la conoscenza della capitale dell'impero ottomano nel XVII secolo.

(3)Kiriakidis Stilpon: 1887- 1964 , storico e laografo folclorista del Università di Thessaloniki. Professore di Studi laografici  e di religione degli antichi greci presso l'Università di Salonicco. Ha lavorato come redattore presso il Dizionario storico della lingua greca (1914) e dal 1918 fino al 1926 è stato Direttore dell 'Archivio Folklore dell'Accademia di Atene. E 'stato direttore della rivista Folklore 1921-1951. Segretario della società greca folcloristica 1914-1926, ha pubblicato numerose opere di folklore e fu un membro fondatore della Società di Studi Makedonikon.

(4)Delmouzos Alexandros, 1880-1956 ,importante pedagogista. Si è schierato, insieme a M.Triantafilidis e D.Glinos per la riforma della lingua greca, e l’adozione della demotiki , il greco neoellenico, e l’abbandono della katharevussa, il greco della koinè ellenistico cristiana, della burocrazia dello stato e dell’Accademia. Ha insegnato pedagogia all’Università di Thessaloniki fino il 1937, quando la dittatura di Metaxàs lo ha licenziato come sovversivo per la religione, la patria e la famiglia.

(5)Lambelet Georgis :1875 - 1945. Distinto compositore, studioso e critico, E 'il primo musicista greco che ha  affrontato la musica greca con coraggio e senza superstizione, ha scritto, La musica popolare greca, 60 canzoni e balli, 1934   Il nazionalismo nel arte e la musica popolare greca, ed.Rodon, Atene,1928.
     Musica popolare greca, Atene, 1933